La tripla dell’estone che non ride mai e quella lezione che può valere una stagione. Se la quantità di sorrisi elargita da Kristjan Kangur – from Pärnu, Estonia, dove, non ci crederete mai, ci sono più giorni di sole che nella Città Giardino – fosse proporzionale alla magnanimità del suo spirito combattivo e dei suoi attributi, saremmo messi male. Senza la sua zampata di puro orgoglio al tramonto del cronometro mercoledì sera, ora staremmo commentando la seconda sconfitta in tre giorni dopo quella di Milano, eventualità meno saporita di un cucchiaio colmo di olio di fegato di merluzzo. Invece i polsi dell’ala si sono “spezzati” nel modo giusto e nel momento giusto, obbedendo a quelle dinamiche fisiche così impercettibili (eppure così decisive nello smistare il destino tra ferri e retine) e regalando un po’ di gioia e di tranquillità, di quelle che si posano solo sulle vittorie. Mai sottovalutare un campione: è questo il concetto. Soprattutto se si tratta di un fuoriclasse in difficoltà. Lo è stato l’estone sul parquet contro Villeurbanne, impresentabile al tiro fino al minuto 39 (e 59 secondi e 23 centesimi) e in palese affanno (fisico e atletico,
non concettuale) anche nel fondamentale che gli riesce meglio, la difesa. Eppure il suo punto esclamativo è stato perentorio, salvifico, finalmente indispensabile, quasi un consiglio dispensato con sguardo glaciale (la specialità della casa) a chi aveva già lanciato anatemi definitivi nei suoi confronti: «Aspetta a darmi per finito… ». Kangur ha parlato per sé ma anche per il compagno Maynor: «Aspettateci, forse ne vale ancora la pena…». Non ci si giri intorno: sia lui che il regista americano titolare sono indietro di condizione, forse ben più di quanto fosse lecito aspettarsi da due atleti che – per ragioni diverse – erano gia stati infilati dritti in cima alla lista “rischi”. E al momento sono quasi un peso. Da sopportare con pazienza, sorretti dalla profondità di una squadra finalmente costruita con raziocinio (dotata di virgulti valenti e scalpitanti) e dalla consapevolezza che il giorno in cui i due “vecchietti” dovessero riuscire a trovare lo stesso ritmo dei giovani, Varese avrebbe vinto al Superenalotto. Veniamo da tre anni di sventurate zucche impossibilitate a trasformarsi in carrozze: con un Maynor o un Kangur conviene aspettare un attimo prima di asserire di non credere alle favole.
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