«Perché tanto odio? Così non ci aiutate: lasciateci sognare»

La rabbia di Cavaliero sfogata su Facebook. Abbiamo deciso di capire con il capitano della Pallacanestro Varese cosa lo avesse offeso, in un’intervista del nostro Fabio Gandini

Lo sfogo “social” di Daniele Cavaliero è stato letto un po’ da tutti e non solo a Varese. Da «Beh, giustificazioni non ne abbiamo…scarsi siamo stati scarsi… senza palle pure.. e mi scuso, ci scusiamo…» a «se ci fosse una svolta in questo campionato per questa ormai banda di scappati di casa, non provate nemmeno per un secondo a salire sul carro perché giuro che vi ci faccio scendere personalmente» il capitano della Openjobmetis 2015/2016 ha condensato tutta

la sua rabbia contro qualità e quantità delle critiche piovute su squadra e società dopo l’infausta sconfitta di Pesaro. La guardia biancorossa, tra le righe, ha chiamato in causa direttamente un recente articolo apparso su La Provincia di Varese a firma di Francesco Caielli ed è per questo motivo che noi, ieri, abbiamo deciso di chiamarlo e di approfondire le sue parole. Lasciandogli uno spazio ben più lungo di un post di Facebook per argomentare il suo pensiero.

Perché era quello che sentivo. L’altro ieri ero a Forlì per una visita alla spalla, come al solito concentrato sull’obbiettivo del rientro. Mi sono imbattuto in alcuni articoli e commenti e, anche se questo può non apparire il momento migliore per controbattere – prima devono venire i fatti, solo dopo le parole – io ho risposto per cercare di far capire alla gente quanto creda in quello che facciamo e non condivida quello che mi sono trovato a leggere.

Cerco di spiegarmi. Le critiche ci stanno e sono lecite, perché la squadra in campo non sta esprimendo quello che vorrebbe e dovrebbe esprimere. Veniamo da una partita difficile da spiegare, dominata per 30 minuti e poi buttata via. Quindi non cerco alibi alle sconfitte o altro, faccio solo una domanda aperta a tutti:

perché questo astio nei confronti di squadra e società? La gente qui è così affezionata a questa maglia da definirsi parte integrante della stessa Pallacanestro Varese e allora mi chiedo se certi toni, certe parole facciano del bene o aiutino a perseguire l’obiettivo comune di risollevare una stagione povera di emozioni e di vittorie.

Ripeto, non è la critica in sé il problema: accetto quelle dei tifosi, dei giornalisti, delle persone in generale, anche quelle a carattere personale. Perché subire critiche fa parte della mia professione. Mi fa solo molto strano il livore dimostrato, la ferocia con cui il giudizio viene esteriorizzato: non aiuta nessuno. E non tiene conto di tutto quello che è successo in questa stagione.

Cerco di essere il più realistico possibile e di non accampare alibi, ma la nostra annata, almeno fino a questo momento, è stata a dir poco incasinata. Abbiamo patito gli infortuni di Wayns, di Galloway e di Varanauskas… E’ arrivato Ukic e si è fatto di tutto per tenerlo, cercando al contempo di far sentire importanti Wayns e Galloway. Poi lui non è rimasto e abbiamo dovuto cambiare ancora una volta idea di squadra, è arrivato Kangur, poi mi sono infortunato io, poi ancora Campani… Insomma stiamo facendo meno di quello che ci si aspettava, ma non si può non tenere conto di tutti i contrattempi che abbiamo avuto. Non potersi mai allenare tutti insieme, essere sempre costretti a mutare pelle, ti cambia la stagione. Se ci sono giocatori che vanno e vengono è difficile riuscire a compattare il gruppo. Ma ripeto: niente alibi. Abbiamo grosse responsabilità per non esserci espressi nel modo dovuto.

Non sotterrateci al 2 di febbraio. Abbiamo 14 punti in classifica: io non voglio togliermi la voglia di sognare, di vedere come andrebbe a finire se dovessimo vincere qualche partita di fila. So che non è facile avere fede e non pretendo che tutti ce l’abbiano, ma io non posso impedire a me stesso di credere che tutto possa cambiare, anche perché altrimenti non andrei agli allenamenti o non chiederei di avere a disposizione tutti i giorni il preparatore atletico per cercare di guarire il più presto possibile dal mio infortunio. Sono queste le ragioni che stanno dietro al mio sfogo: volevo cercare di difendere la mia squadra.

Sono appena arrivato, ma mi sento parte di questa società: certe cose mi fanno male. E come fanno male a me, fanno male ai miei compagni: come credete che fosse lo spogliatoio a Pesaro dopo la sconfitta? Ognuno ha reagito secondo il suo carattere, ma vi assicuro che nessuno ha fatto finta che non fosse successo nulla.

Con l’aiuto prezioso di tutto lo staff – a partire da Armenise e Bianchi – stiamo lavorando tanto e sodo. Un’articolazione delicata come la spalla esige un tempo minimo e noi stiamo cercando di farci trovare pronti proprio entro questa soglia.