«Presidente, io l’anno scorso giocavo in Lega Due e per me questa non è una coppetta: io le final four le voglio davvero». Lo ha detto, Ferrero? «Sì, e lo ribadisco: la Fiba Europe Cup non sarà l’Eurolega e neppure la Uleb Cup, ma tutti l’abbiamo sempre considerata una grande occasione. Ho 27 anni, non sono più un ragazzino: voglio sfruttare ogni possibilità che questa avventura con Varese mi concede».
L’uomo di Bra ha fame. Ed è quello il motore della sua crescita: l’atavico sentore di una mancanza che spinge gli “ultimi” a scalare le montagne per essere finalmente primi. Lo capisci dagli occhi che gli brillano quando parla di pallacanestro e di Varese, lo percepisci quando in campo si mette a difendere – petto contro schiena, su avversari che sono il doppio della sua stazza – e non arretra di un centimetro, lo trovi disegnato nel sorriso che ti regala quando gli chiedi quale sia stata la partita per lui più
significativa: «Il derby contro Cantù, così importante per i nostri tifosi. È stata la mia prima volta in doppia cifra in serie A…».
L’ala della Openjobmetis, a consuntivo ancora parziale la sorpresa più fragrante di una stagione dagli “odori” altalenanti provenienti dal parquet, è pronto al tour de force che da qui a dieci giorni decreterà per davvero gli esiti del cammino biancorosso: campionato – aperto sia in basso che, potenzialmente, in alto – e coppa, con l’ultimo atto da conquistare.
Lo incontriamo al Palawhirlpool, pronto ad allenarsi di ritorno dalla logisticamente impegnativa trasferta di Anversa, un viaggio diverso dagli altri per motivi che vanno oltre il basket: «Inutile negare i disagi, anche se non voglio che diventino una scusante per la nostra sconfitta. Ciò che abbiamo patito noi non è nulla in confronto a quello che è successo. Paura? In Belgio abbiamo trovato tutto più controllato: il palazzetto, l’aeroporto… Non ci si può fermare alla paura».
Alla Lotto Arena il match ball per chiudere la pratica europea è rimasto in canna: «Abbiano iniziato bene, poi abbiamo dovuto fare i conti con una squadra molto fisica, grossa e completa. Se non riusciamo a correre, loro occupano l’area ed è difficile trovare spazi. Per questo dobbiamo partire dalla difesa: l’aggressività dietro ti regala poi dei vantaggi in attacco».
«Ora pensiamo a Pistoia e a gara 3: sono due crocevia fondamentali. Facciamo punti, andiamo avanti, cerchiamo di giocare bene davanti al nostro pubblico come ultimamente ci accade: i bilanci si fanno alla fine».
Max Ferraiuolo recentemente lo ha “incoronato”: «Ferrero è un esempio di serietà, attaccamento, coesione e orgoglio. Lo ha dimostrato anche nei momenti più difficili». Noi non pecchiamo di parzialità nell’affermare che questo ragazzo, partito in fondo alla panchina e arrivato, con il sudore, a essere un cardine della squadra, si merita ogni elogio. A dicembre qualcuno gli aveva “soffiato” di andarsene, di trovare altrove i suoi spazi, di gettare la spugna.
Lui è rimasto, ha stretto i denti: «Non ho mai nascosto di considerare Varese una grande occasione. Nella mia carriera ho cercato di mostrare serietà e orgoglio ovunque sia stato, ma qui ti accorgi che tutto quello che fai, nel bene e nel male, riecheggia in modo diverso dagli altri posti. Se sento di poter essere utile in una squadra che ha ambizione, io rendo. È stata questa la molla, la forza che mi ha fatto restare: mi sono sentito parte di qualcosa. Mi riconosco nella garra del pubblico di Masnago: se cercate uno che vada di fioretto, quello non sono io».