«Adesso cominciamo a essere un po’ troppi, serve una stretta da parte del Comune». Capelli neri corvino e occhi a mandorla. A parlare è , parrucchiera del salone Fashion Hair di via Cavour 6.
Solo negli ultimi due mesi hanno aperto in città quattro nuovi parrucchieri cinesi. E così, in totale, il numero dei parrucchieri orientali della città giardino sale a otto. Due i punti di forza di questi negozi: i prezzi bassi e l’orario di apertura molto comodo.
Il salone di via Cavour, per fare un esempio, è aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30. Non serve appuntamento e ci si può passare anche solo per uno shampoo più piega, con otto euro in tasca.
Il listino prezzi è più o meno il medesimo in tutti i saloni “gialli”, tanto che adesso i negozi si differenziano tra loro per gli orari di apertura. Fashion Hair è aperto alla domenica, per offrire un servizio che potremmo definire “fast hair”: si entra e si esce “acconciati”, senza averlo neppure pianificato.
«Alla domenica lavoriamo con persone che si ritrovano ad essere invitati a un pranzo o a una cena e vogliono presentarsi in ordine» spiega Lilì. Ma non mancano i bambini, per i quali tagliare i capelli significa passare una mezzora.
Ogni tanto capita persino qualcuno che ha ricevuto una telefonata inaspettata, del tipo: «Ti va un gelato tra un’oretta?». Se l’invito è interessante, allora è meglio presentarsi in ordine.
Allungare i capelli costa due euro la ciocca, un’acconciatura matrimoniale 30 euro, un trattamento rinforzante 15 euro. I prezzi sono talmente economici che spesso sconcertano e c’è chi non entra nel salone perché teme che i prodotti utilizzati non siano di qualità. «Questa è una diceria, utilizziamo prodotti italiani» afferma Lilì. Per quanto riguarda la formazione, invece, la cosa è meno chiara. «In Cina esiste una scuola che può essere di quattro, cinque o sei anni, a seconda della velocità di apprendimento dell’allievo – spiega Lilì – Se un allievo è già bravo deve studiare pochi anni, se no, allora il percorso si allunga». Lilì ha 25 anni e due figli . È qui da molto tempo, ma anche lei ha frequentato la scuola di parrucchiere in Cina. «Sono arrivata fino alla tinta» spiega.
A che punto è la tinta nel programma? Poco importa, tanto a promuoverla definitivamente ci sono i suoi clienti, 50% italiani, 50% stranieri.
Ma la stretta al proliferare dei parrucchieri cinesi sarebbe auspicata anche dai colleghi italiani. Tanto più che alcuni grandi saloni di bellezza stanno chiudendo perché il lavoro è calato ed è difficile stare nei costi. Ma a dire «basta parrucchieri cinesi» sono proprio i cinesi. Non gli italiani.
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