L’intervista a Federico Morlacchi

Quando, a Londra 2012, Federico Morlacchi vinceva medaglie paralimpiche a raffica, Roberto Bof – giornalista varesino super-impegnato nel mondo della disabilità – disse: “Ma cus’al g’ha a doss?”. Due anni più tardi, dopo cinque freschissimi ori europei conquistati ad Eindhoven, la risposta non ce l’abbiamo ancora. Ma, qualsiasi cosa abbia addosso questo ragazzo di Luino che da un anno vive a Cunardo, fa rima con sorriso, determinazione e ambizione. Perfino se c’è da mangiare una pizza.

In gara di scontato non c’è nulla. I 100 stile, per come avevo virato ai 50 metri, sono stati molto sorprendenti: ero penultimo, ma vedevo gli altri sempre più vicini, e più li sentivo, più mi gasavo. Alla fine sono arrivato davanti, ma chi l’avrebbe detto a metà gara? Io, no.

Il tre su tre, o il quattro su quattro e via dicendo che mostravo ad Arjola Trimi dopo ogni vittoria. Lei ha vinto subito tre volte, così abbiamo messo in scena questa simpatica sfida tra di noi. Le avevo detto: guarda che ti riprendo. Il cima nella squadra era bellissimo, cose del genere alleggeriscono molto il carico.

Le Olimpiadi sono impagabili, se punti all’agonismo.

Sentirti bene in acqua, immerso in un silenzio totale, solo con te stesso.

Nulla è sicuro, tutto è da scoprire. Nel 2010, avevo 16 anni, andai ai Mondiali a Eindhoven, la stessa piscina di questi europei, che mi sentivo fortissimo. Le presi di santa ragione da ogni parte.

Io sono competitivo di indole, mi appaga sempre vincere. Faccio gare su tutto, perfino su chi mangia la pizza più veloce. Non è l’aspetto mediatico a fare la differenza.

Quindi sono fortunato, perché i miei sforzi sono ripagati da vittorie e medaglie. Pensate a chi arriva quarto o quinto: loro come si consolano?

Certo, ma solo se ciò non intaccasse il mio essere atleta, perché si è personaggi solo dopo essere atleti di valore. L’aspetto mediatico è divertente, non mi spaventa. Ma guardate che il mondo paralimpico di personaggi ne ha: Alex Zanardi, ad esempio, vi dice niente?

Non lo so. Anche perché non è un problema di vittorie, che ci sono eccome. Io ripenso a Londra 2012: la piscina era stracolma, e tutte quelle 17mila persone sapevano chi e che cosa sarebbero andate a vedere. Noi non siamo così stupidi da non meritare di essere guardati. Forse alla gente manca un po’ di incoscienza, di buttarsi e interessarsi di una cosa che non ha mai avuto occasione di conoscere.

Per me Twitter e il resto sono un modo di avvisare quelli che mi seguono. Punto. Le società fanno tantissimo, anche quello che sembra non possano fare. La mia Polha, insieme ad altri club, si è attivata per farmi nuotare anche a Milano, dove studio osteopatia. Gli spazi acqua sono ristrettissimi, queste società hanno davvero sgomitato per permettere a me e ad altri colleghi di allenarci.

Non fosse stato per la Polha, non avrei fatto quattro vasche in tutto l’anno.

No, è una cosa stupida. Un titolo europeo è una cosa che vale in sé e per sé. Che spreco dedicarlo a cose del genere.

No, solo tanto lavoro: c’è ancora da migliorare. Se no l’Australia, che lavora benissimo nel settore paralimpico, ci fa secchi.

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