Cancellatemi! La guerra per l’oblio in Rete

Si svolgerà in Italia, nel mese di settembre, una riunione pubblica del comitato consultivo di esperti nominato da Google dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea che ha riconosciuto il diritto all’oblio online.

Grazie alla decisione del supremo organo giurisdizionale dell’Unione europea, adesso un cittadino è legittimato a richiedere che informazioni «inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessive» siano rimosse dai risultati di ricerca che includono il loro nome.

Nel caso esaminato dalla Corte, si trattava di dati concernenti una vendita all’asta di immobili, indetta a causa di un pignoramento effettuato per la riscossione forzata di crediti a danno di Mario Costeja Gonzalez, la persona che ha promosso reclamo.

Digitando il suo nome su Google comparivano link indicizzati che rimandavano a pagine web relative questa notizia. Per ordine della Corte, però, il motore di ricerca ha dovuto eliminare ogni riferimento dall’elenco dei risultati.

Apriti cielo. Google ha cominciato a ricevere migliaia di domande e per gestire questo enorme flusso ha creato un sistema per consentire agli utenti di inoltrare le loro istanze. Da maggio a luglio sono state avanzate oltre 90.000 richieste, di cui 7.500 in Italia, e 50.000 quelle approvate. In nome del diritto all’oblio si cerca di ottenere la cancellazione dal web di contenuti che riguardano reati gravi come la pedofilia, articoli di politici incriminati, foto imbarazzanti, recensioni negative per professionisti o commenti di utenti pentiti di averli scritti. Nel frattempo, si profila l’emergere di un vero e proprio business del diritto a dimenticare con agenzie di comunicazione e aziende che si occupano della reputazione online pronte ad acquisire nuovi clienti interessati a far sparire informazione indesiderata nel cyberspazio.

In questo marasma, non è facile stabilire cosa può essere accettato e cosa deve essere respinto, in linea con il dettato dei giudici.

È per questo motivo che i Garanti della Privacy Ue hanno convocato una riunione a Bruxelles per incontrare i rappresentanti di Big G e quelli di altri motori di ricerca come Bing di Microsoft e Yahoo, disposti a dare corso a quanto deliberato in sede giudiziaria.

Le autorità europee, in particolare, hanno chiesto spiegazioni a Google sull’attuazione della sentenza, limitata alla versione europea del motore di ricerca, con il rischio di vanificarne gli effetti. Rimuovendo solo i link da google.it, infatti, chiunque può facilmente accedere alle stesse informazioni passando da google.com.

Un’altra questione sollevata dai funzionari dei paesi Ue è quella delle notifiche ai gestori dei siti web dell’avvenuta cancellazione dei collegamenti.

L’obiezione è che questa prassi finisca per provocare un effetto boomerang : i dati personali che si vuole nascondere e far dimenticare su Internet, paradossalmente, ricevono una pubblicità maggiore.

In rete, ad esempio, è stato dato un certo risalto all’eliminazione di link di articoli scritti su testate come la Bbc, il Guardian e il Wall Street Journal. Contemporaneamente, sul web è spuntato il sito “Hidden from Google”, in cui appare una lista dei collegamenti rimossi dal motore di ricerca.

Questa iniziativa, opera di un programmatore statunitense, è significativa perché da un lato pone in dubbio l’efficacia dell’applicazione online del diritto all’oblio e dall’altro segnala l’esistenza di una controversia basata sull’opinione che il diritto ad essere dimenticati possa implicare un’inaccettabile pretesa a limitare il diritto a conoscere e a sapere.

Questo è un punto cruciale del dibattito scatenato in seguito al provvedimento della Corte di giustizia europea. Sul fronte opposto di chi ne difende l’operato ci sono personalità, attivisti e gruppi come Index on Censorship e Big Brother Watch, che sostengono la libertà di espressione e il diritto all’informazione su Internet prospettando il pericolo di un rafforzamento dell’attività di censura. Jonathan Zittran sul New York Times ha anche contestato l’inefficacia di una sentenza che agisce unicamente sui link del motore di ricerca ma non rimuove il contenuto dal sito originario creando solo maggiori difficoltà a trovare un’informazione.

Il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, incluso nel comitato di esperti del colosso di Mountain View, in un’intervista alla BBC ha invece dichiarato in modo netto che ai motori di ricerca non dovrebbe essere lasciato il compito di «censurare la storia».

Google, intanto, ha aperto un sito invitando gli internauti a pronunciarsi su questo spinoso argomento per aiutare a capire come realizzare un equilibrio tra il diritto all’oblio di una persona e il diritto dei cittadini di sapere.

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