Vincere per me sarebbe come realizzare un piccolo sogno. Ciò che più desidero però è che quella di domani sia innanzitutto una grande festa, per tutti. Ed è chiaro che una festa, per essere tale, deve prevedere un lieto fine.
Un momento strano, delicato e bellissimo. Vivrò emozioni forti e piangerò sicuramente: non si accettano scommesse in proposito. Sarà come affrontare un ciclone, un terremoto interiore, e spero che i miei giocatori non siano condizionati dalla mia tensione.
Sono ragazzi molto sensibili, attaccati a quello che fanno e capaci già di mostrarsi affezionati alla maglia che indossano. Del resto, indossare la casacca di Varese è qualcosa di clamorosamente diverso da tutto il resto.
Non serve in questi casi fare gli spavaldi. È giusto invece ammettere di avere paura. Potrei anche rischiare il suicidio fra il primo e il secondo tempo. O magari farò errori pazzeschi dettati dallo stress. Ma per fortuna al mio fianco avrò il mio staff, il migliore di tutta la serie A, che mi aiuterà a gestire la partita. Però una cosa possa dirla…
Che sono molto fiducioso, perché la squadra in questa settimana ha lavorato finalmente tutta insieme e ha lavorato molto bene, dimostrando qualità decisamente superiori a quelle viste in precampionato.
Sarà che non capisco molto di basket, ma non posso rispondere in questo momento. Finora, infatti, non abbiamo avuto la possibilità di esprimerci fino in fondo, soprattutto in attacco, ma anche in difesa, perché non avevamo gli uomini a disposizione per farlo. Per questo penso che abbiamo enormi margini di crescita.
Che questo è uno stimolo in più. Finora abbiamo costruito la casa, ma non abbiamo ancora tolto l’impalcatura. Per questo non mi importa quale sia la valutazione che danno di noi ora. Riuscire poi a fare di più di quanto gli altri avevano previsto è la cosa più bella.
Ci sono tecnici come Recalcati e Pillastrini che tengono alla mia crescita e credono nelle mie capacità. Non percepisco la stessa cosa da parte di altri. I colleghi dovrebbero capire che la visibilità che ho è dovuta ancora al Poz giocatore, non all’allenatore. Forse qualcuno pensa che io la cerchi, ma non è così. Mi comporto, semplicemente, come ho sempre fatto.
Da giocatore godevo della mia felicità. Ora voglio vedere felici gli altri.
Certo. Detesto vederli perdere. Per questo a volte mi capita di protestare, quando sul campo mi sembrano un po’ bistrattati. Tutto nasce dal rapporto che ho con loro. Sono i miei figli.
Penso che quello visto finora sia solo un suo parente. In questa settimana finalmente si è potuto allenare e gli altri hanno potuto conoscerlo. Da lui e da Rautins ci aspettiamo grandi passi avanti, e li vedremo.
Col senno di poi, era meglio disputare meno trofei ufficiali e più test semplici, che se non sei numericamente in grado di affrontare hai la possibilità di annullare. Perché di certo sarà sempre una sofferenza per me rientrare a Varese dopo una sconfitta. E in proposito, aggiungo una cosa…
Detto che non ci voglio ovviamente neanche pensare, di qui vi dico che non mi manderanno mai via, perché se le cose non dovessero andare nel verso giusto sarò io ad andarmene, non per fuggire, ma per dare modo a questa squadra di essere guidata da qualcuno che possa fare meglio di me. Perché il bene della Pallacanestro Varese viene prima del mio.
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