Bettinelli finisce sotto la curva e ci resta per un terzo tempo lunghissimo e drammatico in cui dice tutto in faccia, ricambiato, a quei pochi tifosi (ma in loro c’è il cuore di tutti) che si sono fatti 1.400 chilometri un lunedì sera feriale per vedere il Varese perdere con l’ultima in classifica. Si riparte da qui, da una scena che avevamo visto fare solo a Castori, e prima a Sogliano: una scarica elettrica tra un uomo che ci mette la faccia (accompagnato da Giuseppe D’Aniello) e altri uomini che hanno sempre fatto
altrettanto. Urla, grida, parole forti che fanno male perché vengono dal cuore. Ma intanto fanno bene perché non devono esserci segreti tra i rari varesini che in questo momento amano il Varese e lo seguono in fondo alla classifica come lo facevano quando era in cima. L’urlo del Betti, l’urlo della curva nel deserto della paura. Quell’urlo che esploderà in faccia al Crotone nella partita più drammatica da quando siamo tornati in serie B (mancheranno pure Capezzi e Zecchin, squalificati. Presidente Laurenza, è Natale: apri lo stadio a tutti e chiama la città).
Varese ferito, non morto. Sconfitta micidiale ma non letale: è la prima di quattro battaglie in 13 giorni. Non si lascia sola una squadra che deve ancora combattere la guerra: è persa una battaglia, non la vita.
Sconfitta micidiale perché il Latina non aveva nulla della corazzata che voleva rigiocarsi la finale playoff e la serie A, è addirittura sembrata la più debole e in crisi delle rivali biancorosse in questo campionato: se gli facevi “buh”, si spaventava. Non letale perché se il Verona in serie A è arrivato a non vincere otto partite di fila, e dopo ogni partita non vinta o persa ha fatto quadrato non abbandonando allenatore o giocatori, perché non riusciamo a farlo noi a Varese?
Certo, da quelle parti in società c’è un uomo forte e che sa di calcio capace di metterci sempre la faccia, riuscendo infine a battere la crisi: servirebbe qualcuno che resti in trincea fino alla fine accanto a Stefano Bettinelli (sotto la curva abbiamo visto il dg), perché da solo lui non può caricarsi sulle spalle il Varese e salvarlo. Servirebbe un direttore sportivo, oltre un allenatore che già lo fa,
capace di dire: «Io sono in guerra come sempre. Quando vinciamo è champagne per tutti, perdiamo e mi ritrovo solo con i pochi amici veri. Ma forse è giusto così, questa è la mia forza». L’assenza di Spartaco Landini è troppo grande, innanzitutto per lui, ma anche per noi. E c’è l’equivoco da risolvere di un addetto al mercato e di un allenatore che non si parlano: chiudeteli in una stanza, provateci.
Non avremmo pareggiato nemmeno andando avanti a giocare per tutta la notte: al Varese è mancata la forza nelle gambe, l’ultimo tiro più che l’ultimo passaggio, la voglia di segnare e di vincere.
Partita dura e ossuta, con il pubblico di casa che contesta a inizio ripresa («Venduti», «Cambia», «Basta»; quando esce Crimi, viene insultato a sangue il tecnico Breda), un Varese al 50% (di testa, o di gambe?). Quello che ci fa rabbia, ancora una volta, è che nessuno tira in porta quando vede lo spiraglio: provateci, ragazzi, provateci nella vita! Altrimenti tornerete da dove siete venuti: il tombino di Sannino e dei signori nessuno. Fino alla fine forza Varese, e forza Betti.