Un po’ Maroso e un po’ Landini, ma lui è Bettinelli

Il commento di Andrea Confalonieri post Varese - Crotone 1-0

Ah, che goduria. Vittoria bastarda, cattiva, sporca. Alla Maroso. Alla Fascetti. Alla Sogliano. Alla Landini (buon Natale, Spartaco). Alla Bettinelli. Da squadra nata e cresciuta per evitare la serie C. Che vive alla giornata. Che coltiva l’ambiente (niente clan, gioca chi dà tutto).

Vittoria alla Bettinelli, faccia da duro ma piglio da ragazzo, padre severo e giusto che vive per i suoi uomini e se ne frega di quello che c’è là fuori dallo spogliatoio. Che affronta i rischi di petto, buttando in campo il cuore che poi al Varese è l’unica cosa che conta. Spesso amaro o – come dice lui – un po’ triste, con una rosa costruita in maniera un po’ improvvisata e avventurosa (solo tre terzini, centrocampo buono, attacco strambo senza nessuno stoccatore ma tanti uomini con le palle) che per lui è la migliore del mondo. Betti corre a volte contro tutti e contro tutto in una stagione da odissea ma corre per il Varese, non cerca la popolarità né gli elogi, non ha santi in paradiso. Betti come la gente del Franco Ossola: non è tanta ma è unita e legata, soffre, subisce, ribatte. Si esalta nelle giornate di passione come questa. Che alla fine ti fanno venire il nodo alla gola perché in campo hai visto solo dei ragazzi che corrono (anche Blasi e Neto sono ragazzi), e non lo fanno certo per soldi, attaccati alla maglia, alla panchina, a un abbraccio.

Questa era brutta. Una partita-tomba, ma noi togliamo i chiodi dalle assi e ne usciamo vivi. Il migliore in campo: il Varese (lode a Blasi, sembrava l’ultimo ed è stato il primo a dare l’esempio). Giocano per l’allenatore: Rea segna un gol sporco come siamo sporchi noi – ci tirano addosso fango ma gli occhi e il cuore non soffocano – e sommerge il Betti. Lo stringe

come un padre, lo alza come una bandiera prima di andare a baciare Luca Alfano sulla sua carrozzina. Alla fine, un’altra foto che canta: la squadra in mezzo al campo, uno sopra all’altro, nessuno più in alto. Il gruppo c’è e conta solo questo, non le menate su moduli, cambi, formazioni. I giocatori tirano dalla parte del tecnico, e rinforzano quel filo che qualcuno voleva spezzare.

Vittoria alla Maroso: c’era da vincere e abbiamo vinto. L’unità c’è, la strada sarà lunga, non è ancora arrivata la scintilla che scatenerà l’incendio e ci farà staccare le altre sul fondo.

L’asse è Rea-Blasi-Neto: c’è il centrale che diventa chiodo fisso tenendo assieme la maglia, c’è il vendicatore con la rabbia in corpo di tante panchine o spiccioli di gara, c’è il fenomeno che lotta con l’umiltà del gregario. Con la Lazio all’Olimpico, in settimana a Malnate, contro il Crotone: Neto non si adegua alle situazioni ma sono le situazioni ad adeguarsi a lui anche se in Italia c’è sempre un arbitro che permette a chicchessia il fallo sistematico contro un amico del pallone che trasmette l’amore per questo sport a vecchi e bambini. È così che fanno morire il calcio, stroncando chi vuole solo giocare. Come Brenno Mariani, 8 anni, che papà Lorenzo, avvocato tifosissimo, ieri ha portato con lui in curva: «Non si vede nulla ma sei in mezzo al popolo. Soffri di più ma vivi meglio».