Meno pathos per tutti: Neto e Poz, le nostre stelle polari

Gli auguri di Stefano Affolti allo sport varesino per il 2015

Il vantaggio di fare il giornalista sportivo è che si segue un po’ di tutto. Lo svantaggio è che si soffre un po’ per tutto. Mediamente, sorrisi e moccoli si compensano: solo che a Varese, di questi tempi, l’elettrocardiogramma dei tifosi d’ogni tipo è impazzito.Al 2015 basterebbe chiedere meno pathos. Vero che le difficoltà temprano, e in fondo fanno parte del nostro dna: però accidenti, fare peggio del 2014 sarebbe un’impresa.Vorrei che il pallone di cuoio biancorosso continuasse fiducioso a farsi spingere dal vento di Masnago, che modella traiettorie e quando s’impegna inventa storie stupende. Se ci salviamo stavolta, tra disdette di ogni risma, va scritto un libro o fatto un dvd celebrativo. Sulla cover Neto Pereira, la bandiera gonfiata dal suddetto vento. Neto è tutto quello che dev’essere un calciatore: anzi, è tutto quello che dev’essere un uomo. Simbolo del Varese che non muore mai e prende in giro i luoghi comuni. Gli dei ce lo conservino nell’attuale stato di grazia, perché «quattro vecchietti e un manipolo di ragazzini» (cit. Betti) possono dare un calcio provvidenziale alle malefatte degli Icaro che per volare dove non dovevano hanno rischiato di distruggere il giocattolo (Icaro era un pirla, disse Giovanni Borghi).Vorrei che Gianmarco Pozzecco smettesse quei panni a metà tra Zeman e Mourinho e – rimanendo se stesso, ci mancherebbe: non è solo un allenatore, si sa che gioca ancora e giocherà sempre – si ricordasse che vincere non è l’unica cosa che conta, però è importante. Vorrei che facesse pace con la violenza delle emozioni genuine e trovasse la lucidità per gestire i momenti chiave: bello mettere in imbarazzo le grandi e divertire il pubblico, ma se poi butti via le partite in quel modo ricorrente e un po’ balengo, alla lunga la gente non si fida più. E ti presenta il conto: anche se sei un idolo indiscusso, qui godi di un bonus infinito e tutta

l’Italia parla di te.Vorrei che la Unendo Yama vincesse lo scudetto. Perché nessuno, nel volley rosa bistrattato e masochista (chi ha visto sfruttato il boom dei Mondiali? Finché gli orticelli contano più del bene comune…), ha un rapporto costi-benefici così virtuoso. Busto è un esempio per tutti, non solo nella pallavolo: basterebbe avere l’umiltà di andarla a sbirciare. Solo che – ci risiamo, ma così va la vita – devi esplodere per scuotere il mondo.Vorrei che i bustocchi del calcio smettessero di insultare Vavassori: senza di lui avrebbero fatto la fine dei cugini del Legnano. Si salvino e voltino pagina, ma senza rinnegare i meriti di chi – lì, sì, contro tutto e tutti, anche contro la logica – ha tenuto in piedi una baracca scomoda.Vorrei che ritrovassimo un ciclista di vertice in cui credere. Basso finirà la carriera da gregario di lusso di Contador, Santaromita ha buttato un anno per somma sfiga, dietro ci sono nomi discreti ma nessun crack. Tra le donne siamo all’anno zero. Dov’è finito il vivaio da cui uscirono i Binda, i Panizza, i Contini, i Chiappucci, i Nardello, gli Zanini, le Cantele?Vorrei che Mario Minervino – nel 2015 organizzerà il classico Trofeo Binda donne a Cittiglio, la corsa internazionale juniores femminile e l’inedita Coppa delle Nazioni Under 23 maschile – prendesse coraggio e puntasse al Giro rosa. È un patron che il mondo (e un po’ d’Italia) ci invidia, ha allestito Mondiali ed Europei, gli manca di rilanciare la corsa a tappe regina.Vorrei che Varese continuasse a crescere e diventasse tappa abituale del grande canottaggio. Perché abbiamo bisogno di aria nuova, di storie diverse, di sport minori che invece sono grandi.Vorrei che Caccianiga e tutti gli altri re dei bambini non si stancassero di insegnare la civiltà con la scusa dello sport.Infine, vorrei che Luca Alfano venisse al mare a vedere il Varese. Facciamo il 28 aprile, a Chiavari con l’Entella?