Il Rugby Varese va a caccia del suo pomeriggio da ricordare. Lo fa a casa sua, nel suo cortile, come lo chiamava Alessandro Borghetti (che al Levi non si vede più da tempo). In via Salvore bisogna venire a prendersi i punti con unghie e denti. È perché vincere a Giubiano è davvero rubare in casa altrui, e pare che pure gli avventori di turno percepiscano che una cosa del genere proprio non si può fare. Senza, peraltro, che l’impianto possa incutere – sgarruppato com’è – timore di suo.Memorabili certe salvezze in serie B all’ultima giornata, vittorie sul filo, calciatori avversari che – sul più bello – sbagliano piazzati facili facili che varrebbero la sconfitta biancorossa. Oppure quella volta (era il 22 maggio 2005) che l’Amatori Milano, il nemico giurato, arrivò per fare un boccone della rabberciata truppa varesina: finì che a spuntarla fu il Rugby Varese, un 30-29 in rimonta concretizzatosi nel finale. Cinque, forse otto leggendari minuti di recupero, una giocata da touche chiamata da Ivan maglia e, a seguire, la meta della vittoria. In campo c’era un giovanissimo Alberto “Pasta” Contardi, che ha ancora la forza di buttarsi in mischia.
In seconda linea svettava Mario “Cigno” Galante, che oggi è allenatore della truppa insieme a Michele Ferrara, altro pilastro di quella e di tante altre stagioni biancorosse.Per il resto, è cambiato più o meno tutto. Ma ci sono loro tre – Contardi, Galante e Ferrara – a ricordarci che dieci anni in via Salvore passano un po’ meno in fretta che in tutto il resto del mondo. Merito di come il club ha saputo raccontarsi lungo i decenni; pur con alti e bassi, s’intende, e pur senza rinunciare del tutto all’aristocratico distacco che dieci volte su dieci si respira in qualsiasi club house del mondo. Merito dell’immutabile Levi di Giubiano che, per contro, fa di tutto per essere (con successo) anti-aristocratico. Andateci: potete trovare quello che scorrazza in scooter tra gradoni e recinzione del campo; potete trovarci le note di Andrea “Meri” Minidio, che sa suonare qualsiasi cosa gli mettiate in mano; potete sentire cose fulminanti, come quella volta che la partita andava in onda in mezzo metro di fango: la dottoressa Daniela Maretti arrivò con la borraccia per soccorrere un infortunato: «Non è per curarlo – urlò qualcuno – è per riconoscerlo!».