Rosi, Pietro, Max e il Vanoni non vanno nelle prime pagine dei giornali, non distruggono Ferrari alle quattro del mattino ubriachi fradici, non posano nudi e tatuati, non hanno procuratori o sedicenti amici e purtroppo nemmeno l’ingaggio. . Rosi, Pietro, Max e il Vanoni sono umili ,, dei suoi anni belli, delle vittorie esaltanti e delle retrocessioni, perché il calcio, quello pulito, è come la vita, si sale e si scende, ma senza far drammi. è la lavandaia della squadra, mette a nuovo maglie e calzettoni, sorride e incoraggia i ragazzi. da dieci anni o forse più sta a bordo campo come uno zio barbuto e cordiale, alza la lavagnetta luminosa a ogni cambio, parlotta col quarto uomo e ha una parola per tutti. cura il magazzino, fa battute, tiene alto il morale ed è ovunque. Il conosce il prato di Masnago meglio delle formiche, è il Figaro del filo d’erba e con le sue cure il campo è liscio come un biliardo.I quattro ne hanno mandate giù di delusioni e amarezze, ma, così gli striscioni di protesta comparsi negli spogliatoi del Franco Ossola riflettono il loro stato d’animo, la rabbia per la burattinesca gestione della squadra sfociata nella sacrosanta rivendicazione: «I lavoratori devono essere pagati». Semplicemente. Non sappiamo che fine farà il Varese, negli ultimi mesi il calcio è venuto a nausea un po’ a tutti, scandali e scommesse, truffe e combine, sedicenti salvatori della patria hanno ammaccato seriamente uno sport bellissimo, minandone
la credibilità e il prestigio. Ogni serie è sotto inchiesta e non è facile buttar via il marcio e ripartire, anche perché l’inquinamento è vasto e ancora non del tutto rilevato. Però c’è gente, come Rosi, Pietro, Max e il Vanoni, pronta a qualsiasi ripartenza, perché su di loro, a differenza che su presidenti, direttori sportivi e tutto il circo di nani e ballerine al seguito della carovana, si può contare sul serio, perché la passione non muore mai, ed è l’unica certezza rimasta in un mondo di pressappoco e forse sì, di soldi millantati e sporchi, di chiacchiere infinite e faccendieri mediorientali. Il Varese in qualche modo dovrà ripartire, e chi gli vuole bene spera lo faccia con nomi varesini, imprenditori puliti e attenti alle persone che in silenzio e con dedizione hanno fatto il loro dovere per anni, senza lamentarsi delle malefatte societarie, degli intrallazzi e dell’incompetenza, sopportando l’umiliazione di veder distruggere un sogno da personaggi privi di scrupoli, ignoranti del valore di una bandiera, anche soltanto sportiva. I quattro moschettieri degli spogliatoi sono pronti a ricominciare, poche parole e tanto lavoro, come fanno da anni, perché il Franco Ossola è la loro seconda casa (forse per il Vanoni la prima, visto che del campo di Masnago conosce perfino il microclima) e vorrebbero vederla ben frequentata. Come del resto i tifosi che hanno sfilato compatti per chiedere trasparenza e serietà. Il Varese che verrà e vogliamo deve per forza essere questo.