Una valigia disfatta al rientro dal Belgio dove si è concluso l’ENECO Tour e un’altra pronta sul baule dell’ammiraglia del Team Astana in partenza per la Spagna dove sabato prossimo inizia la Vuelta. Nei due giorni a casa di Stefano Zanini non c’è spazio per altro che la famiglia, gli amici l’immancabile aperitivo che diventa una cena, con prodotti d’altissimo livello, curata in ogni particolare dal “maciste” di Gorla Minore e la moglie Rossana ormai vaccinata al compito di moglie, madre e…master chef.
«Sono in giro per il mondo da una vita ma l’ossigeno vitale resta l’aria di casa – dice Zazà tra un salame stagionato a dovere e un bicchiere di Amarone – Ogni volta che parto provo sentimenti contrastanti. Dispiaciuto perché tolgo momenti ai miei affetti e felice perché lavoro in un ambiente che amo. Anche se quando definisco il mio un lavoro un po’ mi vergogno».
Tranquillo direttore, c’è gente che non si vergogna facendo molto meno e ricevendo soldi pubblici. Piuttosto, neanche diciassette anni di professionismo più quelli da dilettante e quelli sull’ammiraglia hanno incrinato il tuo amore per il ciclismo? «Non scherziamo: un conto è l’ambiente altro è la disciplina che per me resta la più bella in assoluto. Altra cosa ancora sono le persone che vanno al di là dell’ambiente e della disciplina in se. Ultimo esempio in ordine di tempo: ho corso al fianco di un giovane belga del quale mi venne subito facile predirgli una grande carriera. Sto parlando di un certo Tom Boonen che tra le vagonate di vittorie ha esposto nel salotto di casa quattro Parigi-Rubaix, tre Fiandre, un mondiale in linea e un altro a squadre. Dopo un bel po’ di tempo che non lo vedevo l’ho incontrato settimana scorsa, il giorno dopo la sua volata vincente sulle strade di casa. Aveva appena finita la tappa, masero di sudore e con il fiato ancora da ritrovare. Quando ha incrociato i miei occhi ha mollato tutto ed è venuto lui da me per abbracciarmi. I miei occhi e i suoi erano piuttosto umidi. Ecco, questo è il mio sport, il mio ciclismo, quello che mi fa sentire a casa perché ci ritrovo gli stessi valori che mi hanno insegnato i miei genitori».
Anche se un abbraccio da incorniciare si alterna ad una lunga serie di polemiche e veleni dai quali il ciclismo sembra non sia capace di uscire. «Dai quali il ciclismo avrebbe la forze di uscirne solo se lo volesse. E invece siamo una barca nel vento che prende ondate in faccia da ogni parte senza reagire, dando fiato a soloni che sparlano e scrivono di ciclismo senza arte ne parte, che trovano terreno fertile nel fatto che al contrario di altri sport la solidarietà tra corridori quando non è interessata è pari a zero. Una cultura del ‘morte tua vita mia’ alla Tafazzi che non sono mai riuscito a digerire».E a proposito di veleni,
alla Vuelta si ritroveranno in gara i protagonisti di un Tour dove i veleni non sono mancati. «È quello che stavo dicendo e che era toccato anche a noi dell’Astana nella prima settimana al Giro. Una squadra è sempre in testa al gruppo? Chissà cos’ha preso. Sospetti e veleni che arrivano da chi resta indietro e da chi farebbe bene almeno una volta nella vita a dedicare qualche mese del suo tempo per seguire cosa e come fa una squadra di alto livello per preparare in ogni minimo particolare una corsa a tappe come il Giro o il Tour. Ritiri, test, allenamenti, prove, ripetute. Macché, di questi aspetti sento parlare o leggo poco o niente».
Va beh, riapri la vena. La Vuelta doveva essere una sorta di passerella di fine stagione e invece presenta al via una qualità maggiore del Giro. Anche voi più o meno kazaki sarete al completo. Il tuo ‘cocco’ Fabio Aru che spazio potrà avere? «Fabietto è un grande e ha tutto per diventare un campione». Lavorando al fianco di un vate come Giuseppe Martinelli cresce anche la voglia o l’ambizione di fare qualcosa per conto tuo? «Giuseppe è un maestro senza pari. Esperienza infinita con il pregio tra i pregi di trovare sempre i toni giusti e le soluzioni ideali. Mi ha voluto con lui, ne sono orgoglioso e conto di restarci il più possibile. Voglia e ambizione le ho per un sogno diverso che prima o poi sono certo di poter realizzare”.
Si può sapere o ci adeguiamo al fatto che… i sogni aiutano a vivere meglio? «Si può sapere e lo sa chiuque mi conosce: una scuola di ciclismo della provincia di Varese che segua i bambini dai 6 anni ai ragazzi under 23, con aspetti sportivo, sanitario e scolastico curati dalle persone giuste al posto giusto. Prima o poi si farà anzi, si fa».
Non essendo tu un politico o un marinaio facciamo che ti crediamo sulla parola. Ma restando alla provincia di Varese e al “prima o poi”, hai anche qualcosa di pronto? «Come no? Purtroppo quest’anno non potrò essere presente al memorial Sandro Gianoli riservato alla categoria ‘Giovanissimi’ in programma domenica 23 agosto a Orino ma quando torno dalla Spagna ricomincio da tre recuperando terreno rispetto a chi come Sergio Gianoli si sbatte non poco per ogni iniziativa o manifestazione dedicata al ciclismo e non solo».