«Il giorno in cui il Peo venne a Besozzo»

La prima giornata di campionato vedrà il Varese affrontare il Verbano: gli aneddoti e ricorsi storici si sprecano. Eccovi una vera e propria chicca

«Incredibile, se me lo avessero detto anche solo due mesi fa, non ci avrei creduto». Esordisce così Enzo Cattarulla, cresciuto a Besozzo ma da sempre grande tifoso del Varese, con cui per anni ha collaborato per la parte commerciale e marketing.

La prima giornata del campionato di Eccellenza vedrà il Varese a casa sua, dopo una vita al Franco Ossola. Verbano-Varese è infatti la partita del cuore, per Enzo. A questo punto, chi tifare?

«Non so dire se ne tiferò una piuttosto che un’altra, forse la bilancia pende di più verso il Varese. Politicamente spero in un pareggio. Però nel Verbano, che allora si chiamava ancora Besozzo, ci sono cresciuto, per me è stata una piccola scuola di vita, ho conosciuto giocatori del calibro di Giorgio Milanese e Sergio Battan. Anche poi con gli anni un po’ ci si allontana, io a questa squadra e a questo posto ci sono affezionato. Verbano Varese è una poesia per me, più che una partita». È vero, mai nessuno avrebbe creduto di rivedere il Varese a Besozzo, in campionato: «Nel 2004, anno della ripartenza, il Varese dei Sogliano qui non vinse. E’ un campo difficile, e credo che sia l’esordio più complicato che ci si potesse aspettare. A mio parere il Verbano è tra le squadre più blasonata e titolate di questa categoria, e soprattutto di questo girone. Il

patron Barbarito è al timone da tantissimi anni, riuscendo a mantenere sempre una squadra competitiva. E in un paese di provincia non è per nulla semplice. Gli fa onore, e sono convinto che il Varese non avrà vita facile». Besozzo evoca ricordi sportivamente romantici per Enzo: «Conservo da sempre una foto di Peo Maroso sul campo di Besozzo, erano gli anni ’70. Me la diede un ex presidente, e da allora l’ho sempre custodita con gelosia. Ricordo che sempre negli anni ’70, qui a Besozzo, giocava la Primavera del Varese, era il loro campo di casa. Era la Primavera dei Salvadè, ma anche dei Ramella. Noi ragazzini eravamo strabiliati dalla magia del Varese, cercavamo di rubare ogni segreto ai giocatori, seppur giovani, ma non le creste o gli scarpini colorati, bensì le giocate sul campo. Una volta arrivò a Besozzo addirittura Luisito Suarez, che ai tempi allenava la Primavera del Genoa».

Adesso però è il momento del nuovo Varese, che vedrà nel Verbano il suo primo avversario, il primo ostacolo verso l’obiettivo di una rapida risalita: «Passiamo in pochi mesi da Pavoletti al Verbano, con tutto il rispetto che ci vuole per questa squadra. Verbano Varese sarà per me un misto tra bellezza, fascino, romanticismo e tristezza. Anzi, una romantica tristezza. Perché in fin dei conti il Varese è così, tristemente romantico. E’ questa la sua bellezza, come per quelle cose a cui ti affezioni e che insegui per una vita intera. Il Varese è una di quelle cose che ami ma che ti fa soffrire da morire, ma non puoi smettere di amarlo. Sinceramente, non vedo l’ora di questo Verbano Varese».
Sul nuovo Varese, poi, le parole sono al miele: «Penso che sia doveroso ringraziare coloro che hanno salvato la società. E’ stata un’estate traumatica, sempre a sperare e sempre puntualmente delusi. Ogni volta il castello crollava. Meglio non guardare indietro perché ci si arrabbia. La mia speranza è che ci sia gente capace, che porti avanti un progetto, di calcio prima di tutto il resto. Come fecero i Sogliano. Non mi sono ancora abbonato ma lo farò, questo Varese merita fiducia».