In cima alla tribuna laterale ci sono dei bambini che si divertono come matti a vedere il Varese, e i bambini siamo noi. Oppure: questo Varese ti fa tornare bambino. Perché è vero, e ovunque sta crescendo qualcosa di bello.
È questo il Varese che vogliamo: occhi da belva ferita, quattro gol alle prime quattro occasioni, afferra subito alla gola l’avversario (sicurezza e cattiveria producono altre sicurezze e stimolano nuova cattiveria).
Giovio e Marrazzo valgono il prezzo del biglietto, aspettando Pià (domenica andrà in panchina?). Giovio è il Neto dell’Eccellenza, e forse è anche il Neto del futuro, ha le stesse qualità e anche un pizzico della sua fragilità. Marrazzo è un killer: quando è incazzato, ti castiga. Noi sappiamo che lui sa di poter fare gol quando vuole, però per riuscirci non può scendere sotto una certa soglia di concentrazione e rabbia.
Due parole sugli avversari, quelli di ieri dell’Union Cassano, bravi a giocarsela anche sotto di 4 gol, e i prossimi dell’Arconatese che hanno proposto di giocare a Solbiate Arno: si sono meritati 1.500 spettatori, l’incasso e il sogno di poter battere il Varese. Ma il pubblico biancorosso sa che riempiendo il Chinetti, attaccato al campo a soffiare sui giocatori, può mettere la prima pietra sul futuro del campionato.
Scene bellissime un po’ ovunque, che gli altri in una, due o tre categorie superiori si sognano: quando la curva e i distinti cantano “chi non salta è un comasco”, Gheller prende in braccio uno dei suoi tre figli e salta con lui, come a trasmettergli il senso della tradizione e dell’appartenenza. Poi c’è Gabriele Cesari: parte solo da Genova, si ferma a pranzo da Marco Tomasetto, vede la partita (tifa solo Varese dal ’68, né Doria né Genoa) e poi
torna a casa. Contento. Infine c’è il terzo tempo sui tavolacci sotto la tribuna, tra odore di salamelle e polenta fumante con Becchio, Giovio, Capelloni, Gheller, Azzolin, Balconi, Viscomi e Melosi seduti in mezzo alla gente. Giocatori-tifosi e tifosi-giocatori, una sola cosa: è il Varese di tutti. Ed è soprattutto di Ottavio Biasibetti: fa fatica anche a salire le scale della tribuna, ma una sedia comoda e una sigaretta dietro la rete per lui ci saranno sempre.
