– Spaccio di droga a San Fermo con mire di grande espansione: indagata un’intera famiglia. Il boss della banda era “mamma cocaina”: usava i figli per spacciare e le due nipotine minorenni per sfuggire ai controlli fingendosi una cara nonnina.
Perché proprio in cocaina (probabilmente importata dall’Albania) era specializzato il gruppo decapitato da un’inchiesta della squadra mobile della questura di Varese e coordinata dal pubblico ministero .
I fatti. L’operazione prende le mosse da un controllo eseguito nella primavera del 2013 dagli agenti della polizia di Stato di Varese: «In auto – ha spiegato , funzionario capo della squadra Mobile varesina – Gli agenti hanno trovato un’ingente quantitativo di cocaina».
Si parte da quel primo arresto per disegnare la geografia dello spaccio in città: la banda, infatti, era sì radicata a San Fermo «ma grazie all’organizzazione, allo spessore criminale dei suoi componenti, all’intercambiabilità dei canali di approvvigionamento – ha spiegato Carozzo – il gruppo mirava ad espandere i propri affari a tutta la città e non solo».
Carozzo parla dell’operazione poche ore dopo la chiusura del blitz che ha portato all’arresto di otto persone in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Varese . In manette sono finiti “mamma cocaina”, 51 anni, già nota alle forze di polizia, uno dei suoi figli, il compagno della donna, oltre alla migliore amica della boss, al barista di un locale di Induno Olona (locale estraneo alla vicenda) e a tre pusher albanesi, uno dei quali irregolare sul territorio italiano.
«Il sodalizio criminale si è rivelato particolarmente efficiente – ha spiegato Carozzo – Efficiente e di spessore. All’inizio dell’inchiesta molti acquirenti che dalla banda compravano cocaina si sono mostrati reticenti nel confermare i rapporti con la banda per paura». Come funzionava il gruppo? Mamma teneva conti e fila. «Ma tutti i sodali erano in un certo senso intercambiabili tra loro e avevano diversi canali di per l’approvvigionamento della droga – ha spiegato Carozzo – Se qualcuno restava sprovvisto di cocaina e aveva una vendita imminente si rivolgeva agli altri».In particolare il bar di Induno Olona si è rivelato un ottimo punto di vendita. «C’è una conversazione tra il
barista e la mente della banda molto emblematico: lei non ha disponibilità di cocaina, contatta il barista che la rassicura che da lui avrebbe trovato tutte le dosi che avrebbe dovuto vendere». Un’intesa perfetta: «Le conversazioni nel gruppo erano ridotte al minimo. Non serviva loro un linguaggio in codice, bastavano uno sguardo o una parola per capire», ha detto Carozzo che ha descritto anche la scaltrezza di “mamma cocaina” nell’eseguire le consegne: «Faceva più viaggi al giorno trasportando piccoli quantitativi di stupefacente – ha spiegato Carozzo – La donna ha precedenti, conosce la legge. Trasportava quantità minime per evitare di essere arrestata in caso di controllo».
«Tra questi spiccano le due figlie della donna anche loro coinvolte negli affari di famiglia ma in modo più marginale», ha aggiunto il capo della Mobile precisando che l’inchiesta non è chiusa. I dati relativi all’identità degli arrestati non sono stati diffusi per questo. Ieri mattina sono state eseguite 30 perquisizioni in tutto, il cerchio potrebbe allargarsi.