«Ci chiamano donne, ma siamo dei lupi»

Giada Manzo è il capitano della Pallacanestro Varese Femminile, che punta alla promozione in A2. «Abbiamo un unico segreto: facciamo le professioniste anche se non lo siamo. E coach Ferri è super»

Giada Manzo in poche parole? Gioca a pallacanestro da 30 anni, è un playmaker che ama ricamare sul parquet come faceva Andrea Pirlo tra le zolle dei campi da calcio («E se devo tirare fuori un modello cestistico dico il Poz…») ed è capace di trasmetterti la gioia che prova in quello che fa. Qualità rara.

Giada Manzo in una parola sola? Capitano. O se preferite bandiera, svolazzante nel cielo di quella Varese del basket che sa (e fa) sorridere, sorprendendo ogni domenica per la costanza del suo rendimento, per il perpetuo cannibalismo nei confronti delle avversarie, per i sogni cheriesce a non smarrire per strada. Questa creatura colorata di rosa in chi ne fa le fortune, di biancorosso per immedesimarsi ancora di più con il territorio che ben rappresenta, e forse anche di nero, come le bandane dei pirati che non si spaventano davanti a nulla, prende il nome di Pallacanestro Varese Femminile 95, squadra capace di dominare il campionato di serie B non da oggi.
Niente accade per caso. E il condottiero Manzo, a Varese da 5 anni, è la persona giusta per spiegare al mondo i motivi di una crescita che si è tradotta in risultati sonanti: «Penso sia stata generata da un susseguirsi di cose positive. Vedevo Varese da fuori e la consideravo una società che aveva “il nome” e poco altro. Poi si è creata una sorta di sintonia tra persone intelligenti, che hanno deciso di incominciare a gestire questa realtà in modo professionistico curando ogni particolare, a partire dagli allenamenti. Penso che uno dei segreti stia proprio in questo: facciamo le professioniste anche se in realtà non lo siamo. Fa tutta la differenza del mondo».

I risultati si vedono: dalla C, alla B, alla salvezza, ai playoff, alle quasi promozioni. Un’escalation che di segreto ne ha anche un altro, solo apparentemente in antitesi con la cura maniacale nella gestione societaria: la Varese rosa è una famiglia. È un branco di lupi (non per niente il Keynes di Gazzada, dove le biancorosse giocano, viene dalle stesse definito “PalaBranco”) che trova la

forza nella propria inscindibile unione: «Siamo una squadra a tutti gli effetti, in campo e fuori. E nel corso degli ultimi anni questo è diventato una sorta di marchio di fabbrica. resistito anche agli inevitabili cambiamenti avvenuti all’interno del gruppo. È un altro merito di coach Lilli Ferri: è stata capace di scartare giocatrici anche valide tecnicamente che, però, potevano distruggere l’armonia del nostro spogliatoio».

La Lilli che da tempo “move il sole e l’altre stelle” di questa spettacolare macchina da guerra merita un inciso anche per capitan Manzo: «Tosta, responsabile, impegnativa, determinata, motivante. Mi ha chiamato da Canegrate, dove mi aveva già allenata, e l’ho seguita in questa avventura. Ha cambiato il mio modo di giocare: all’inizio non è stato facile essere “ricostruita”. Ma le devo tanto, penso sia un po’ il fulcro di tutto: è capace di farti amare quello che fai».
La prova provata? Giada doveva ritirarsi l’estate scorsa («Volevo dare un senso diverso alla mia vita privata»), ma è bastato un colpo di telefono della sua allenatrice per insinuare un tarlo che ha prodotto una voragine. Così il capitano, continuando a ricamare sul parquet alla stregua di un Pirlo in canotta e coadiuvando la crescita di colei che sarà la sua erede (la brava Alice Biason), si è trovata a veleggiare in un’altra stagione da prime della classe. L’anno scorso fu una giornata storta contro Fiorenzuola nelle semifinali playoff a negare la promozione in A2, quest’anno il percorso è ancora tutto da scrivere. Senza proclami, nonostante la forza sgorgata ogni domenica. Chi vince, d’altronde, non ha bisogno di parlare.