«I miei 365 giorni trasformati in film. In #35 c’è la vita e la mia Varese»

Paolo Boriani, regista visionario e mai banale racconta la pellicola d’avanguardia sui suoi 35 anni. «È un’idea e l’idea è un evento reale, che accade. Rispondo a internet: un’immagine è per sempre»

Paolo Boriani è un fine intellettuale che ha solide basi filosofiche e soprattutto è un giovane regista di talento il cui estro visionario non è mai banale. Sta girando #35 (numero 35), film d’avanguardia sulla sua vita quotidiana (ma forse extra quotidiana e metafisica) in cui anche Varese, terra di origine di Boriani, è protagonista.

In America le cose accadono, o mi accadono. Non avrei mai immaginato di partecipare a un festival a New York e men che meno di vincere la sezione Art Category. Dei video di backstage di film in concorso sono costati più di tutto il mio film… E poi proprio mentre ero in America ho saputo che Saga sarebbe stato distribuito nelle sale d’essai della regione Emilia Romagna a marzo. Non mi sarei aspettato che un mio film “minore” uscisse nelle sale. Il mondo della distribuzione e dei festival è “schiacciato”, mi colpisce che un mio film si sia inserito così.

È un film che racconta il mio trentacinquesimo anno, dal primo dicembre 2015, giorno del mio compleanno, al primo dicembre 2016. Tutti i giorni giro un’unica inquadratura della durata massima di 35 secondi. Il film è di 365 inquadrature. Il film è un unicum di giorni settimane mesi. Inoltre, i tagli di montaggio sono sempre contenuti in 35 secondi, i tagli sono cioè multipli di 5 secondi e di 7 secondi. È interessante per uno che aveva 3 in matematica trovarsi a lavorare concretamente e necessariamente con i numeri.

Non c’è inganno: tutti i giorni giro un’inquadratura. Non che la finzione sia il contrario della verità, intendiamoci. Tutti i giorni dalla mattina alla sera penso a questa inquadratura, se è giusta o non è giusta, se è eticamente giusta, ci penso anche quando non ci penso, ci penso pure la notte. È una follia. Ma come dice Hegel “l’uomo è questa notte” e la domanda centrale non è sulla follia, ma su come il soggetto esca dalla follia per passare alla normalità e accettarla. Nella mia follia filmica la casualità si trasforma inquadratura dopo inquadratura e diventa volontà. C’è la mia volontà dietro la casualità, la volontà di girare un film.

Lo dico appunto in #35, che è proprio un film sulla fatica di girare un film. Perché per girare #35 devo ricordarmi di ricordarmi, ricordarmi di girare un film, di volere girare un film. Per girare #35 devo tenere con me tutti i giorni la telecamera, non è un dettaglio, e trovare l’inquadratura che entrerà nel film. Delle cose appariranno un’unica volta e non ritorneranno nel film. Delle cose ritorneranno più e più volte. La narrazione è costituita dalle cose che ritornano, come dei déjà-vu della mia vita e dei déjà-vu del mio immaginario. Il primo mese del film è visibile on line sul canale Facebook del film per chi non ci credesse.

Una settimana del primo mese di #35 è stata filmata a Luvinate, dove vive la mia famiglia, perciò ci sono le mie nipoti nel film: #35 è anche un film sulle mie nipoti che crescono con il film. A Luvinate ho anche filmato un faggio che sarà uno dei déjà-vu del film, di stagione in stagione. E sempre a Varese ho girato le scene di notte in skateboard, all’Esselunga, il “tempio” di Varese, e la scena dei titoli, che è stata disegnata dall’artista Tommaso Bianchi. Sì: #35 parla e parlerà anche di Varese.

Per qualcuno è quello di Star Wars un set per antonomasia. Per qualcuno un set è una telecamera che filma un albero. Non sono sicuro che il set di Star Wars sia più interessante di un set “street”, indipendente. Il mio primo set “par excellence”, come assistente, credo sia stato a Bucarest, in un film di Renzo Martinelli. Il mio primo giorno di set girammo in una delle dimore fuori Bucarest del dittatore Ceausescu. A proposito di follia o di follia che è accettata…

Rispondo parlando di #35 che è essenzialmente un’idea, e un’idea non è separata dalla realtà, un’idea è un evento che accade, è reale. E ciò che mi colpisce è che tu puoi filmare un’idea e costruire con le tue mani una cosa che non c’è. Questo mi interessa moltissimo mentre giro un film: costruire le mie immagini. C’è una differenza determinate tra filmare un albero – e tutti filmiamo con il telefonino – e mettere in immagini un albero, cioè costruire delle immagini.

Sì, alla generazione di internet dove il medium istituisce il messaggio, il non-messaggio, o la “metropolis” del non-messaggio. Il pensiero è stato sostituito dalla meccanica del cliccare. L’imperativo categorico è il cliccare. Ma alla superficie di facebook, di instagram, di twitter, io ho scelto la durezza e la profondità di un’unica inquadratura. Un’immagine è una volta e una volta è per sempre. Non sostituibile secondo dopo secondo, istantaneamente, nel “tutto” dei new media. In #35 da un’immagine non si ritorna indietro. E anche nella vita da un’immagine non si ritorna indietro. Le immagini che non sono nella nostra memoria, non ritornano. Le immagini che non sono nella nostra memoria sono perse, perse per sempre.

La morfina dei new media è “il tutto”, avere tutto, essere tutto, vedere tutto. Ma è il contrario. Mettiamo le dita dappertutto, soprattutto sul telefonino, e così la vista è sottovalutata. Crediamo di vedere tutto attraverso le dita e invece non vediamo niente. L’aspetto più importante per me mentre sto girando #35 non è vedere e farti vedere una mia immagine, ma è non farti vedere. Così attraverso il mio fuori campo, tu ti interroghi sul tuo campo e sulle tue immagini. La domanda è: hai o non hai le tue immagini? Sei sicuro che con le dita, o con il telefonino, tu costruisci le tue immagini e la tua memoria?

È un film sulle immagini che non ritornano, sulle immagini che possono o non possono essere per sempre. Le immagini come cemento. Dove ciò che è, è per sempre. Non la discarica di immagini e di memoria che c’è in un telefonino. Bisogna stare attenti a non passare dalla inter-attività alla inter-passività, dove il telefonino vede al posto tuo e ricorda al posto tuo. Insomma, #35 è un film che ci ricorda di ricordare, e di vedere, che ci ricorda che se non scegliamo di ricordare, cioè se non scegliamo le nostre immagini da ricordare, le immagini non ritornano.