L’incredibile sconfitta di Pesaro sintetizza al meglio due anni di delusioni cupe, intervallate da sprazzi (la vittoria del Poz nel derby del suo esordio, la restaurazione di Caja, la serietà e la caparbietà di un uomo e di un coach come Paolo Moretti) che purtroppo non avranno posto nei libri di storia. Tra le pagine della memoria albergheranno solo i riferimenti a una realtà diventata fonte di tristezza per i propri tifosi, gabbati ogni volta in cui hanno osato non tanto sognare (troppa grazia…), ma almeno coltivare un minimo di speranza.

(Foto by Varese Press)
La débacle di ieri (e a beneficio di qualche permaloso dirigente spieghiamo questo: débacle deriva dal verbo francese débacler – liberare, disgelare – ed è un termine che rende l’idea di un disastro di gravi proporzioni, proprio come un disgelo che provoca un’alluvione. Chiediamo il permesso: lo possiamo usare stavolta?) è un simbolo perché coinvolge tutti, perché tocca tutti, perché non salva nessuno, perché nasce da una squadra costruita male fin dal principio e quasi irrecuperabile, nonostante le volontà profuse da alcuni in
campo e in panchina (per inciso: quando perdi un match che conducevi di 18 punti, dietro la lavagna del caso specifico finisce anche l’allenatore). Varese ha talmente poche alternative alle invenzioni di Wayns e alle buone percentuali da tre punti che, quando queste vengono meno, semplicemente sparisce, non esiste più. E quando ai suoi difetti strutturali, mentali, fisici e chi più ne ha più ne metta, aggiunge pure la poca voglia di sacrificarsi per un obbiettivo comune, beh, il risultato è questo. Un disastro.

(Foto by Varese Press)