«Sei l’unica persona in Italia ad avere questa malattia». Una sentenza, più o meno. Arrivata dopo anni di dubbi irrisolti e sintomi che avevano una concatenazione nelle paure più intime, ma non nelle diagnosi cliniche. Anni di perché domandati alla luna, di ritardi, di problemi. No,, ventiquattrenne di Clivio, non è sola. E ora lo sa bene: non lo è nella sventura, perché con il comitato da lei fondato ha catalizzato l’attenzione di altri malati prima brancolanti nel buio; non lo è nemmeno nella lotta e nell’impegno quotidiano, perché ha trovato accanto a sé l’amore.È bella la sua storia, la prima che i nostri lettori ci hanno regalato la settimana scorsa venendoci a trovare in piazza Monte Grappa (ricordiamo l’iniziativa: “Giornalista in piazza”, tutti i mercoledì, dalle 10 alle 12, presso lo Iat. Siamo a vostra disposizione per segnalazioni, racconti, lamentele, idee da lanciare).Ed è così perché non nasce tale: lo è diventata grazie alla voglia di non mollare, all’intraprendenza davanti alle difficoltà, al mettere a disposizione se stessi e il proprio dolore per aiutare gli altri. Federica ha la Sindrome di Wolfram, una malattia rara neurodegenerativa caratterizzata da diabete mellito di tipo 1, diabete insipido, atrofia ottica e segni neurologici. La stessa ha probabilmente origine da una disfunzione genetica a livello del nucleo o dei mitocondri e può sorgere soltanto quando entrambi i genitori sono portatori del gene malato. Così è accaduto alla ragazza di Clivio, che l’ha scoperta soltanto nel 2014. Prima, molto prima, fin dall’età di 9 anni, sono arrivati i sintomi: le difficoltà alla vista, i laringospasmi, il diabete, l’incontinenza urinaria. Il tour dei medici italiani – a Varese e a Milano – non sortisce effetti, se non – alla fine – un nome e una percentuale:
Sindrome di Wolfram, ne soffre l’1% della popolazione mondiale dicono le statistiche (in realtà sono molti di più i malati…). Federica passa tante fasi: rabbia, rassegnazione, paura, accettazione. Da una ricerca su internet trova il dottor , della Washington University di Saint Louis, negli Usa. Un faro nel buio, il primo: «Mi ha proposto dei test genetici – ci spiega – E in tre settimane mi ha spedito i risultati: pensare che sto ancora aspettando quelli degli esami (dello stesso tipo) effettuati al Besta di Milano, l’anno scorso…».Grazie al medico americano tutto inizia ad avere una causa e anche una cura, una molecola che rallenta la malattia. Nel frattempo arriva un altro faro a illuminare la vita di Federica: si chiama Giorgio ed è il suo fidanzato. «Ci ho messo tanto tempo a rivelargli il mio stato di salute – continua la ragazza -ma la mia esitazione è stata ripagata: con lui ho iniziato un nuovo percorso». Insieme, lo scorso febbraio, hanno fondato il primo comitato italiano sulla Sindrome di Wolfram, si chiama Gentian (www.sindromewolframitalia.com e Sindrome di Wolfram Italia su Facebook): «Sono diventata il punto di riferimento di tante altre persone. E quest’aspetto – unito alla possibilità di condividere con Giorgio la mia vita e i miei problemi – mi ha dato speranza e una forza incredibile. Ora vorrei donarla a tutti coloro che sono nella mia situazione». Gentian è diventato un porto sicuro «per chi, come me, si sentiva solo a combattere il buio» e promuove non solo la condivisione, ma anche una raccolta fondi che finanzi la ricerca: «Qui in Italia siamo agli albori, negli Usa stanno facendo qualche passo avanti. Auspichiamo una collaborazione tra le due realtà, in modo da non disperdere alcun risultato utile».