Ho una foto in bianco e nero, nell’album dei ricordi. In quello scatto di quando ero bambino, in un giorno come un altro al Franco Ossola, ci sono io con la divisa del Varese: maglietta rossa e pantaloncini bianchi, su cui è stampato il numero nove. A tenermi per mano c’è Ernestino Ramella. Sì, Ernestino Ramella, il pupillo del Peo. Mio padre ha sempre provato stima, amicizia e simpatia per lui. Lo ha fatto diventare un calciatore, prima; e lo avrebbe voluto vedere sulla panchina del Varese, poi. E ora, è lì: ora, Ramella, è dove da sempre sarebbe dovuto essere. Domenica scorsa, immagino che da lassù, da quel posto che si trova più alto del Sacro Monte, il Peo abbia sorriso, vedendo la sua prima partita alla guida del Varese; e che gli abbia voluto dare pure una mano, spostando la palla di quella punizione al veleno battuta da Simeri sul legno. Perché mio padre ha amato, con dedizione e disciplina, la sua squadra. E, per questa squadra ha sempre dato tutto, e c’è sempre stato, anche quando era più facile non esserci. Il Peo ha partecipato ad ogni rinascita biancorossa; per amore dei colori, per amore di quella che dal ’63 è diventata la sua città. Sono
sicuro che l’estate scorsa, quando il Varese si è spento, sarebbe sceso in strada al fianco di Enzo Rosa per ricostruirlo. Rosa, Ciavarella, Galparoli e Maroso: non sarebbero stati 3, ma 4 i soci fondatori. Perché la maglia del Varese veste una sola taglia: la speranza di un popolo, il nostro. Un pubblico come quello che si vede ogni domenica al Franco Ossola, non è da Serie D, ma merita solo una cosa: tornare nel calcio che conta. Penso che questo sia l’anno giusto per conquistare la Lega Pro, perché a guidare la squadra sul campo c’è Ramella: una persona che sa cosa rappresenta la storia del Varese. Non sarebbe bello che proprio lui, che allena con al suo fianco mio papà, ci riportasse tra i grandi? Diceva Sannino che è tutto scritto, e penso che sia davvero così. Lo vedo negli occhi di mia figlia Martina, che tifa il Varese contando nell’aiuto del nonno. Lo vedo in quelli di mia mamma Rosy, che nel suo letto delle Terrazze, dove sta ritrovando la forma migliore, ha un solo pensiero: ed è il Varese di suo marito. Lo vedo negli occhi di Paolo Basile, di Gabriele Ciavarrella e della società, la voglia di farci tornare a casa, in Serie B.