Luca Campani fischiato dal PalA2A? Fa male al cuore, ha ragione Claudio Coldebella. Il Tempio che prende di mira uno dei suoi non è una novità. Se in Italia – si dice in riferimento al calcio – “siamo tutti dei commissari tecnici” vista l’abitudine con cui si commentano le vicende calcistiche forti di una più o meno innata competenza, lo stesso discorso vale a Varese con la pallacanestro: le aspettative sono alte, il palato è sofisticato (anche se da anni abituato a cucine tutt’altro che stellate…), la conoscenza della materia è virtù di molti. I fischi, tuttavia, simbolo
della disapprovazione davanti allo spettacolo offerto in campo, dovrebbero essere riservati agli indolenti, a chi – pur ben pagato – non sa mettere il cuore oltre l’ostacolo, a chi nulla ci azzecca con lo sport dei canestri, agli impresentabili che volente o nolente passano anche davanti alle platee nostrane. Campani non appartiene ad alcuna di queste categorie: il ragazzo, negli ultimi tempi, è vittima di una condizione fisica che ne condiziona prestazioni (alcune troppo brutte per essere vere) e capacità di credere in se stesso, come purtroppo ben evidenziato dalla triste serata contro i polacchi del Rosa Radom.
Perché, allora, gettarlo comunque nella mischia? Perché non preferirgli qualcun altro nella lunga fila di giocatori del roster costruito per affrontare due competizioni? La situazione del lungo emiliano è un assist formidabile per far luce su uno dei problemi che affliggono la Openjobmetis 2016/2017. Un problema che ha un nome difficilissimo da pronunciare, quasi come se fosse lesa maestà farlo: si chiama Paolo Moretti, coach che in questo momento sembra annaspare nelle onde al pari (se non più) di chi va in campo, appesantito e tirato sott’acqua dalla stessa profondità delle risorse a sua disposizione. Perché bisognerebbe essere dei tecnici per disquisire con cognizione di causa di pick and roll, di cambi difensivi, di ruoli e compagnia cantante (e volentieri ce ne teniamo a debita distanza, semper fidelis al motto dell’ “ofelè, fa el to mestè”). Ma non serve avere alcun patentino per rimanere a volte senza spiegazioni davanti al vorticoso e cervellotico ruotare di pedine in campo, una giostra che ha come risultato più lampante la confusione e la poca fiducia degli attori sul parquet. Questa Varese non ha gerarchie: prima di cambiare, forse sarebbe meglio ragionarci.