«Mi manda re Aza. E non farò come Ukic»

Confidenze, sogni e obiettivi della sorpresa della stagione: Aleksa Avramovic

Aleksa Avramovic è una storia da raccontare, un ragazzo da conoscere e al quale non puoi voler altro che bene. Venerdì pomeriggio la seduta inizia alle 17.30 e lui è puntuale all’intervista, un’ora prima. Entra al bar e si lamenta con il gestore Massimo perché deve già ricaricare di nuovo il telefono: cose semplici, sorrisi, è già uno di famiglia. Si cambia e si presenta ai taccuini già con l’uniforme da allenamento, perché lui inizia sempre prima degli altri. Sempre.

Aleksa è una sorpresa, una scoperta positiva per tutti quanti, una scommessa già vinta. Sguardo fiero, concentrato, a tratti interrotto da un sorriso sincero, divertito. Nelle sue parole c’è tutto: obiettivi, futuro, sogni, ricordi. Conosciamolo meglio.

No, per ora conosco solo brutte parole in italiano, me le ha insegnate tutte Campani.

Mi trovo bene, tutti si prendono cura di me e mi aiutano, sto davvero bene. È un onore per me giocare qui: è la prima volta che vivo fuori dalla Serbia e sta andando tutto alla perfezione.

Inizialmente no, pensavo di essere solo un rincalzo di Eric, che è un grandissimo giocatore con esperienza Nba. Dopo l’Armani e l’Asvel, per ora la mia miglior partita a Varese, ho trovato sempre più spazio per il mio gioco, restando sempre in campo tra i 17 ed i 25 minuti per partita. Per un giocatore giovane come me, è davvero tantissimo spazio e di questo devo ringraziare il coach che crede in me. Nella mia testa pensavo che avrei giocato tra i cinque ed i dieci minuti a partita, però lo staff e il coach credono in me e sto giocando molto più di quanto avrei immaginato, in una lega che è di livello molto più alto rispetto a quella serba in cui ho giocato finora.

Playmaker. Ho giocato tutta la mia vita così, sono cresciuto facendo il regista fin dall’high school, perché ero basso di statura. Ma posso giocare anche da “shooting guard”: quando io ed Eric siamo contemporaneamente in campo, la guardia la faccio io.

Prima di Pesaro non trovavamo la confidenza nel gioco difensivo, che è molto importante in questo momento. Abbiamo perso contro il Rosa Radom giocando molto bene in difesa ma terribilmente in attacco, mentre con Pesaro e Avellino ci siamo comportati bene.

Sono giovane, il più giovane della squadra e ci sono tanti aspetti che devo migliorare nel mio gioco, come il tiro, il ball-handling, la difesa. Devo migliorare tutto per giocare come voglio e per raggiungere i miei obiettivi, dall’Eurolega alla Nba. Ma il mio vero sogno è arrivare in nazionale serba.

Ovvio, gioco spesso online con i miei amici serbi. Anche se il tempo non è più quello di prima: ci alleniamo e allo stesso tempo viaggiamo parecchio, con trasferte lunghe come in Lettonia e in Lituania. Prima c’è l’aereo, poi l’autobus, poi arrivi in hotel, ti riposi, il giorno dopo ti alleni, giochi… In Serbia giocavo una volta a settimana, avevo più tempo. Ora ho qualche amico a Como e a Milano e trascorro i giorni liberi con loro.

Ognuno ha il suo hobby, questo ce l’ho fin da quando ero bambino. Così come la Play Station: sono incredibile, potrei andare avanti dieci ore a giocarci.

No, infatti non ha ancora trovato il coraggio di sfidarmi una volta.

Quella foto è stata scattata a Como, con il figlio di un mio grande amico. Volevano farmi una sorpresa con il proiettore facendomi rivedere la partita. Io comunque mi riguardo sempre, dopo ogni gara.

Sono stato felicissimo perché ho capito che il pubblico di Varese vive per il basket. È molto importante avere dei tifosi che ti adorano, è una motivazione extra. Amo questi tifosi, mentre in Serbia sono pazzi: la rivalità tra Stella Rossa e Partizan è incredibile.

Alla perfezione, è il mio compagno di stanza quando andiamo in trasferta e abbiamo un bel rapporto. Quando viaggiamo siamo spesso assieme ed è anche il mio avversario alla Play Station. Però lui gioca a Fifa, mentre io preferisco Pro Evolution con Daniele Cavaliero. Tutti in Serbia giocano a Pro Evolution. Eric è un grande, le sue ginocchia sono fragili ma la sua visione del gioco è incredibile, vede tutto in campo. Mi ha insegnato e mi ha messo in testa tante cose nuove che non facevo prima di arrivare a Varese.

Alla grande. Prendo ad esempio Paolo Conti, avevo bisogno di una persona così, è un coach straordinario, mi trovo benissimo ad allenarmi con lui. Ma anche con Stefano Vanoncini, perché sa tutto del basket, davvero tutto. Entrambi stanno cercando di darmi nuove informazioni per migliorare.

Tutti. La prima volta che sono arrivato qui sapevo che Roko Ukic aveva giocato per Varese. Chiedevo a chiunque informazioni su di lui, ero eccitato perché per me è un grande giocatore. Però mi dissero: non pronunciare quel nome, è passato da Varese a Cantù. Lì ho capito tutto. Ma in Serbia questo è impossibile, non puoi passare dalla Stella Rossa al Partizan, credo nessuno lo abbia mai fatto da che io ricordi.

Sì, ci andrò solo per vincere con Varese.

Bella domanda, per tanti motivi. Varese ha una grande tradizione, la conoscevo ancora prima che mi dicessero dell’offerta. Poi è in Italia, è un paese magnifico, non è lontano dalla Serbia. Ma anche per un altro motivo: un coach del mio vecchio team, il Čačak, è stato Aza Nikolic e qui lo conoscete bene. Lui è uno dei motivi per cui sono qui.