«Io, il quartiere nascosto e il mio amico Badoglio»

La nostra giornalista racconta il viaggio nell’antico maniero tra ricordi e segreti celati dall’intonaco

Quando si scrive una pagina vissuta in prima linea si fa fatica a non far trapelare i sentimenti che muovono le righe. Così ho deciso di usare la prima persona, anche se non sarebbe giornalisticamente opportuno. Ma è doveroso farlo, perché ad organizzare la riapertura del Castello di Belforte, anche se per il breve spazio di una mattina, sono stata io, e non finirò mai di ringraziare l’assessore Andrea Civati per avermi permesso di realizzare un sogno che coltivavo da tempo e del quale voglio ora raccontare la genesi.

Avevo incontrato in agosto, nei giorni immediatamente precedenti l’Assunta, le signore Mariuccia e Valeria Caccia, le ultime “castellane”. Mi ero affezionata moltissimo a queste anziane sorelle, testimoni di un intero secolo di storia belfortese; e quando la “Meri”, come la chiamavano tutti, fra le pieghe del racconto della sua lunga ed incredibile vita mi svelò che durante l’ultimo intervento di ristrutturazione dell’ala secentesca del rudere era emersa dall’intonaco una Madonna con il grembo il Bambino, rimasi stupefatta e scattò in me il desiderio immediato di vederla.

Da tempo mi ero convinta che esistesse a Belforte una sorta di culto popolare legato ad una Madonna dimenticata: improvvisamente avevo ritrovato il bandolo della matassa. Mi documentai ed appresi, con una certa dose di vergogna, di aver mancato l’appuntamento importante – nell’aprile del 2015 – del convegno di studi intorno al Castello. Vi era stato illustrato il ritrovamento, all’ingresso

dell’edificio, di una Vergine in trono fra san Rocco e san Sebastiano, della quale si era potuta recuperare la fisionomia solo parzialmente, essendo il dipinto stato occultato per secoli da sedimentazioni abitative. Mariuccia e sua sorella ammisero in quell’occasione di non aver mai sentito parlare di quest’immagine sacra prima di allora: eppure avevano abitato per anni in quelle mura.

Del caso si erano occupati Luca Conte e Fabrizio Mirabelli a più riprese denunciando lo stato di abbandono del pregevole affresco, attribuibile a mano quattrocentesca, e del castello in generale: ogni volta però pareva che la voce di Belforte dovesse spegnersi e ricadere nel dimenticatoio.

Raccontai di questa scoperta al mio amico Andrea Badoglio. C’era stata un’epoca in cui avremmo dovuto organizzare assieme spedizioni di studio su Belforte: poi, per varie ragioni delle quali tuttora provo dispiacere, non se ne fece più nulla.

Ma quella della Madonna Dimenticata gli parve un’impresa nobile e degna di essere abbracciata e, pur fra mille perplessità legate al fatto che quella del Castello pareva una causa ormai perduta, mi promise che mi avrebbe accompagnata.

Andrea, ieri mattina, era con noi: nel pensiero, nel cuore, ma c’era. Sapeva che stavamo andando alla ricerca delle vestigia dell’antica chiesa di san Materno testimoniata da Goffredo da Bussero e inglobata successivamente nell’edificio patrizio, al punto che l’affresco ritrovato potrebbe esserne, forse, parte.

Addirittura, la conferma che si sarebbe potuti accedere all’antico maniero mi è stata data il 30 di novembre, nel giorno del suo santo: un segno inequivocabile che il mio Amico, nel trigesimo della sua morte, ha voluto mandare a tutti noi, Civati compreso, che di nome fa proprio Andrea.

Lo scopo di questa visita, che abbiamo dedicato al Bado, alla Meri e ad un rione intero, è stato quello di far rivivere la memoria della nostra terra. E se anche ai fini studiosi si mescolano nel comune intento umili cantastorie, l’importante è che il canto, l’anima delle nostre genti, non si estingua mai. n