Quali misteri nascondono le agende di Stefano Binda e Patrizia Bianchi? In quegli scritti, per l’accusa, è celata la chiave per arrivare alla soluzione del delitto di Lidia Macchi, la giovane studentessa, militante di Comunione e Liberazione, uccisa nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 con 29 coltellate dopo un rapporto sessuale. Il 15 gennaio 2015 fu arrestato Stefano Binda, 49 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia, con l’accusa di aver assassinato 30 anni fa la ragazza.
E di aver poi conservato, come in una sorta di museo, tutti gli scritti dell’epoca. In particolare ieri il sovrintendente della polizia di Stato Silvia Nanni, che ha eseguito le indagini con il collega Giuseppe Campiglio, ha messo in relazione diversi elementi ricorrenti. Elementi che ricorrono anche nelle agende di Patria Bianchi, l’innamorata respinta da Binda 30 anni fa, che a lui aveva dedicato un diario esclusivo nel quale adorante riportava le poesie preferite di Binda, le sue frasi, le sue citazioni. La donna che per 30 anni, è agli atti, ha conservato un brandello di carta sotto il vetro della scrivania dove Binda aveva vergato parte di un brano greco. La donna che oggi è la principale fonte di prova dell’accusa.
È lei a riconoscere come appartenente a Binda la grafia con cui è scritta la lettera “In morte di un’amica”, missiva anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia.
È lei a fornire agli inquirenti vecchie cartoline che Binda le aveva inviato per il confronto grafologico. «Caro Stefano, sei fregato. Potrebbero strapparti gli occhi o strapparteli con le tue mani. Ma quello che hai visto l’hai visto tu». Il testo appare su una delle agende di Binda alla data 9 gennaio 1987. La pagina precedente (quella dell’8 gennaio) trova incollata una fotografia di Lidia ritagliata da un giornale dell’epoca. Il cadavere della ragazza venne trovato il 7 gennaio 1987 al Sass Pinì di Cittiglio. Le due pagine sono relative alle 48 ore successive al ritrovamento del corpo. «Tu non sai, non puoi nemmeno immaginare che cosa sono stato capace di fare» è invece una frase riportata sull’agenda che Bianchi aveva dedicato a Binda e che a lui l’attribuisce. Pronunciata davanti alla basilica di San Vittore alla presenza di un prete. Non c’è alcun riferimento esplicito all’omicidio. Ma le agende, per l’accusa, nascondono la verità. Una sorta di filo che lega Binda, Patrizia e Lidia. Come la poesia di Pavese “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, trovata in casa di Binda ma anche nella borsa in cuoio appartenente a Lidia e trovata accanto al cadavere. Sempre Bianchi ha riferito agli inquirenti che quella poesia era il cavallo di battaglia di Binda. In realtà, come ha spiegato Sergio Martelli, codifensore con Patrizia Esposito di Binda, la poetica di Pavese e in particolare quella poesia era tra i cardini della formazione dei giovani di Comunione e Liberazione. «Come dimostra – ha detto Martelli – questa breve ricerca su internet (consegnata alla corte) che mostra come don Giussani, don Trento, l’Osservatore Romano abbiano tutti analizzato in modo profondo e sottolineato l’insostituibilità di Pavese in un percorso interno al movimento con particolare riferimento proprio alla poesia “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”». Quindi, per la difesa, non cavallo di battaglia di Binda ma di qualunque ventenne che all’epoca fosse parte di Cl.