Il Sergente ha 50 anni. Come lo spiego a mio figlio?

Mezzo secolo di “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” dei Beatles in una parola: emozione

Il 1° giugno del 1967 cambiava la storia della musica, ma ovviamente l’avremmo scoperto solo anni dopo: quel giorno uscì nei negozi di tutto il mondo ”Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” dei Beatles. Mezzo secolo dopo un nostro affezionato lettore, fan dei Fab Four, ci regala una splendida riflessione
su quel lavoro, che fece
dei baronetti di Liverpool gli artisti più innovativi
del pianeta.

Cinquant’anni sono una vita. Come si giudica un disco con una vita in mezzo? Si ricercano le emozioni, lo stupore, l’entusiasmo dei primi ascolti o si prova a fare una analisi più ragionata, adesso che su «Sgt. Pepper» si è letto, detto, saputo tutto?

Ne hanno parlato loro, Paul soprattutto. Ne ha scritto George Martin, raccontando genesi e produzione nel bel libro “L’estate di Sgt. Pepper”, ne hanno esaminato l’impatto culturale e sociale, l’hanno risuonato, sezionato, criticato, osannato. Qualcuno sa addirittura citare i nomi di tutti i personaggi che appaiono sulla copertina. Ma ad una vita di distanza, soddisfatta la curiosità di sapere tutto quello che c’è da sapere su “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, come lo racconto a mio figlio? Come faccio a fargli capire cosa è stato?

Provo con l’emozione. Quando è uscito io ero piccolo, ascoltavo la musica dei miei fratelli più grandi e mi piaceva, molto. Non ho avvertito l’impatto dell’uscita dell’album, i miei fratelli ascoltavano e suonavano rock un po’ più duro, ma ho percepito un cambiamento: improvvisamente tutti volevano andare a Londra, perché là c’era «qualcosa», portare capelli più lunghi e vestiti strani non era più roba da strambi, persino il bassista di mio fratello, tipo da maglioncino a «V» e camicia azzurra, adesso aveva un gilet a fiori pantaloni a zampa d’elefante e foulard al collo. C’erano anche altre cose strane, ma io ero piccolo… non capivo. Dal complesso di mio fratello se n’era andato l’organista, andato cioè perso… forse aveva recepito troppo in fretta il messaggio psichedelico di quell’album…

Era un cambiamento drastico: se i genitori potevano tollerare i complessini perbenino in cui i figli suonavano nei primi anni ’60, questa evoluzione, molto più che estetica, era inaccettabile, pericolosa perché anticipava ben altri cambiamenti sociali che da lì a qualche mese sarebbero accaduti. Comunque, tra il ’67 e ’68, i Beatles di Sgt. Pepper’s erano arrivati anche nel mio piccolo paese in provincia di Varese. Una rivoluzione armata solo di un disco, senza televisione, poca radio, poca stampa, tantissimo passaparola e il modo di vivere di una generazione e di quelle successive non è più stato come prima.

Quanto doveva essere potente? Io l’album l’ho scoperto davvero solo qualche anno dopo, su una audiocassetta prestata da un amico. Non sapevo che disco fosse, certo sapevo che erano i Beatles. Beh, la prima volta che l’ho sentito ho dovuto riascoltarlo un’altra volta dall’inizio alla fine, per capire cosa stavo ascoltando. C’erano cose divertenti, cose cupe, cose strane. C’era “Lucy In The Sky With Diamonds”: anni dopo ne hanno fatto un cartone animato in Yellow Submarine, ma non c’era bisogno, era già tutto lì nella musica, nelle parole, la capacità di portarti via. C’era “A Day In The Life” che ti lasciava senza fiato… sospeso in quell’accordo finale. C’era l’atmosfera del circo di “Mr. Kite”. C’era la leggerezza magica delle canzoni di Paul, che cantava di ragazze scappate di casa, di cameriere o di come sarebbe stato avere 64 anni… C’era perfino lo scherzo di una canzone magnifica regalata alla voce sgraziata di Ringo.

Ogni canzone era un mondo di colori vivissimi, di idee musicali che arrivavano a destinazione, di intensità emotiva e creativa. Oggi più che un ascolto, la si definirebbe una «esperienza» perché l’ascolto finisce, l’esperienza ti forma.

Oggi, ad una vita di distanza, a mio figlio cerco di raccontarla, ma so di non riuscirci. Lui non c’era.