C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui il giornalismo italiano – anche quello delle testate più autorevoli – ha scelto di raccontare la tragedia avvenuta ieri a Lomazzo, nel Comasco, dove una maestra ha perso la vita mentre accompagnava i suoi alunni in gita scolastica. Qualcosa che va oltre il diritto-dovere di cronaca e scivola nel terreno scivoloso del voyeurismo mediatico, dell’intrattenimento del dolore, della corsa a un click in più.
TgCom24 e Corriere della Sera, giusto per fare due nomi noti, hanno pubblicato il video dell’incidente, un filmato violento, scioccante, che mostra in tempo reale la dinamica dello schianto mortale. Un contenuto che rimbalza sui social, invade le homepage, viene rilanciato da altri media in una catena inarrestabile di spettacolarizzazione della morte. Ma a che pro?
Il dolore non è uno spettacolo Ci si chiede se davvero serva, per comprendere l’accaduto, vedere quel video. Se sia utile o rispettoso nei confronti della vittima – una maestra, una donna, un essere umano – e della sua famiglia. Se sia giusto offrire in pasto al pubblico il momento esatto in
cui un’esistenza si spezza, come se fosse un trailer da cliccare tra un contenuto e l’altro. La risposta è semplice: no, non serve a nulla. Se non a fare numeri, a monetizzare l’orrore, a capitalizzare sull’emotività e sulla morbosità di una parte di pubblico ormai assuefatta alla sofferenza altrui.
Anche le “grandi firme” partecipano
Che lo facciano i social o certi siti di cronaca nera, purtroppo, non stupisce più. Ma che a prestarsi a questa dinamica siano le colonne portanti dell’informazione nazionale, come il Corriere o TgCom24, è un segnale allarmante. Significa che non c’è più distinzione tra informazione e spettacolo, tra rispetto e business, tra notizia e contenuto virale.
In tutto questo, sparisce il senso del limite. Nessuna riflessione sul contesto, sul fatto che quell’incidente riguardasse dei bambini, che una maestra stesse facendo il suo lavoro, accompagnando una scolaresca, che dietro quell’immagine ci siano dei familiari devastati dal dolore. Si pubblica tutto, senza filtri, perché tanto “il pubblico lo vuole”. Ma è il giornalismo a dover educare il pubblico, non il contrario.
Un click non vale la dignità
Il diritto di cronaca non è mai stato, e mai dovrebbe diventare, diritto allo spettacolo della morte. Ci sono altri modi per raccontare una tragedia, con parole, con testimonianze, con inchieste che ricostruiscano responsabilità e contesto. Mostrare il momento dello schianto serve solo a scioccare, non a informare.
È tempo che le redazioni – anche quelle più importanti – si pongano una domanda etica: fino a che punto è giusto spingersi per catturare l’attenzione del lettore? Perché oggi è il video di un incidente, domani potrebbe essere qualcosa di peggiore.
E chi si professa giornalista non può accettare di essere, anche solo per un click in più, complice di un voyerismo che disonora il mestiere e ferisce le persone.