Da fiducia a ferite: la guerra tra vicini finita in tribunale
Un tempo, tra loro c’era fiducia: una madre affidava con serenità il proprio figlio alla vicina perché lo accompagnasse a scuola. Oggi, invece, tra quelle stesse mura di Casciago si è consumata una vicenda giudiziaria dai toni accesi, sfociata in gravi accuse, reciproche denunce e perfino in un vaso scagliato dal primo piano. Protagonisti dello scontro, due famiglie – una albanese, l’altra marocchina – un tempo unite dalla buona convivenza, ora divise da anni di rancori e carte bollate.
Il verdetto: assolto il vicino
Mercoledì 21 maggio, il giudice monocratico Rossana Basile ha assolto un uomo di 47 anni di origine albanese, imputato per percosse su minori, minacce e lesioni. L’accusa era sostenuta dal pubblico ministero Arianna Cremona, che aveva chiesto una condanna a quattro mesi. Ma il giudice ha stabilito che “il fatto non sussiste”, dando ragione alla difesa – curata dagli avvocati Jacopo Arturi e Marco Lacchin – che ha messo in dubbio l’attendibilità della presunta parte lesa.
Le accuse della vicina
La denuncia risaliva al 2019. La donna, una 56enne marocchina, aveva accusato il vicino di aver maltrattato suo figlio, provocandogli disagio fisico e psicologico con pizzicotti e umiliazioni. Secondo la sua versione, l’uomo le avrebbe rivolto minacce mimando una coltellata alla gola e, in un’occasione, l’avrebbe colpita con un pugno in faccia. Di quest’ultimo episodio vi è traccia solo in un referto medico che certifica un dolore al naso, ma senza evidenze oggettive di un trauma.
La condanna che ha ribaltato i ruoli
Un fatto avvenuto nel 2020 ha però segnato un punto di svolta. In un procedimento parallelo, la donna è stata condannata lo scorso gennaio a dieci mesi e venti giorni di reclusione per lesioni: aveva lanciato un vaso colmo di terra dal primo piano, colpendo alla testa l’uomo che oggi è stato assolto. La sua giustificazione – ovvero che il vicino avesse fatto cadere il figlio dalla bici e gli avesse strappato la maglietta – non ha trovato conferme. Nessun testimone ha riconosciuto la maglietta portata in aula come prova, rendendo così fragile la sua difesa.
Un epilogo paradossale
Da un rapporto di mutua fiducia si è scivolati in un crescendo di ostilità culminato in processi incrociati, versioni contrapposte e ferite – più morali che fisiche – da entrambe le parti. La giustizia ha tracciato un solco netto: l’uomo è innocente, la donna è colpevole. Ma la ferita più profonda, forse, resta quella di un vicinato diventato campo di battaglia.