Cinque anni di reclusione. È questa la condanna definitiva per quello che i media hanno ribattezzato il “Tom Hanks nigeriano” di Malpensa, con evidente richiamo al film The Terminal, in cui un uomo resta bloccato in aeroporto per motivi burocratici. Ma la realtà, in questo caso, ha preso una piega molto più inquietante.
Il verdetto è arrivato venerdì 20 giugno dalla terza Corte d’Appello di Milano, che ha ridotto di un anno e quattro mesi la precedente condanna inflitta con rito abbreviato dal gup di Busto Arsizio.
Il nigeriano, 35 anni, aveva dichiarato alle autorità di essere nato a Londra in una famiglia benestante di origini nigeriane, figlio di un commercialista, ed ex studente di ingegneria meccanica a Oxford. Secondo il suo racconto, era giunto a Malpensa diretto a Roma per assistere a un’udienza papale, ma qui avrebbe perso i documenti e subito il furto di cellulare e carte di credito. Da quel momento, avrebbe iniziato a vivere tra i corridoi del Terminal 1, dove ben presto è passato dalla sfortuna alla criminalità.
Le perizie psichiatriche, sia in primo grado che in Appello, hanno escluso qualsiasi vizio di mente, così come una sua pericolosità sociale permanente. Ma i fatti parlano chiaro.
Il primo episodio documentato risale al 4 novembre 2023: il nigeriano si avvicinò a un dipendente aeroportuale chiedendo denaro. Alla risposta del malcapitato che gli offrì solo due euro, il 35enne reagì con violenza, minacciandolo con un coltello e sostenendo di far parte della mafia nigeriana. Fortunatamente la vittima riuscì a fuggire e a dare l’allarme.
Qualche settimana più tardi, l’uomo tornò a colpire: all’interno di un ristorante del terminal, strappò lo smartphone dalle mani di un passeggero, colpendolo con pugni e calci, ferendo anche la compagna dell’uomo. In quel caso riuscì a fuggire, nonostante la presenza di diversi testimoni.
Le rapine non si limitarono all’aeroporto: grazie ai collegamenti ferroviari, l’uomo si spostava tra Malpensa, Saronno e Busto Arsizio, dove avrebbe commesso altri reati. Un’escalation che ha portato al suo arresto a metà novembre di due anni fa e ora alla definitiva condanna.
Un caso che intreccia disagio, fragilità e violenza, ma che per la giustizia non può essere giustificato né attenuato.