Lavoro e salute, la nuova frontiera della sostenibilità

Non solo ambiente: il benessere psico-fisico dei lavoratori è oggi una priorità strategica per imprese e sanità pubblica. La medicina del lavoro evolve: da semplice sorveglianza a leva per la prevenzione e la qualità della vita.

Sostenibilità significa anche salute mentale e benessere nei luoghi di lavoro. E la medicina del lavoro è pronta a fare la sua parte.

C’è una parola che oggi attraversa imprese, istituzioni e sanità pubblica: sostenibilità. Ma non riguarda solo l’ambiente. Dal 2015, con l’introduzione dei 17 obiettivi dell’Agenda Onu, è diventato evidente che anche la salute e il benessere delle persone rappresentano un pilastro essenziale dello sviluppo sostenibile.

«Le aziende hanno imparato, anche a loro spese, che non si possono consumare tutte le risorse, siano esse ambientali o umane – spiega Giovanni De Vito, direttore della Medicina del Lavoro dell’ASST Sette Laghi – perché prima o poi finiranno i lavoratori, e anche i compratori».

Il lavoro ha un ruolo centrale nella vita delle persone: non è solo fonte di reddito, ma struttura il tempo, dà senso e identità. Per De Vito è anche uno straordinario strumento di adattamento e crescita. «Le imprese che vogliono sopravvivere devono saper rispondere ai bisogni reali, guardando al futuro, alle innovazioni, alle persone. Chi resta fermo, perde la propria funzione».

Proprio per la sua natura relazionale e concreta, il lavoro è anche una potente palestra per la salute mentale. «Secondo l’OMS – continua De Vito – la comprensione della realtà e la qualità delle relazioni, in famiglia e sul lavoro, sono i cardini del benessere psichico. L’attività lavorativa impone un confronto costante con il mondo reale e aiuta a mantenere l’equilibrio».

In questo scenario, la medicina del lavoro può evolvere da semplice attività di controllo periodico a presidio dinamico di prevenzione. «Intervenire su fattori come fumo, alcol, obesità, sedentarietà, ipertensione e dislipidemie – sottolinea De Vito – significa promuovere la salute del lavoratore e, grazie al potere dell’esempio, anche quella dei suoi familiari».

Molte persone adulte, infatti, non si rivolgono al medico di base per anni. In questi casi, il medico del lavoro può essere il solo professionista a intercettare segnali di rischio o suggerire cambiamenti negli stili di vita. E nel percorso di recupero dopo un disagio psichico, elementi fondamentali sono casa, cibo, lavoro, relazioni. «Solo quando una persona riesce a sentirsi utile, può ritrovare autostima e restituire valore alla comunità. Il lavoro, ancorato alla realtà, è la forma più concreta di terapia».

Tuttavia, per fare tutto questo servono risorse e visione. «La carenza di medici riguarda tutte le specializzazioni. È essenziale valorizzare ciò che abbiamo e riconoscere il ruolo preventivo della sorveglianza sanitaria, anche con misure legislative o piani aziendali dedicati».

Secondo De Vito, infatti, le imprese che investono nella salute dei propri dipendenti non solo ne traggono beneficio sul piano etico, ma anche in termini di produttività, stabilità e riduzione dell’assenteismo.

Un esempio concreto arriva dall’ASST Sette Laghi, dove la visione è già realtà operativa. «Con il supporto della direzione generale – spiega De Vito – abbiamo integrato alla prevenzione dei rischi chimici, fisici e biologici anche tematiche come stress lavoro-correlato, aggressioni, promozione della salute e comitati di garanzia».

Le visite mediche diventano così un’occasione per agire concretamente: promuovere screening oncologici e audiologici, orientare verso corretti stili di vita, avviare percorsi diagnostici mirati.

«La medicina del lavoro del futuro – conclude De Vito – deve mettere al centro l’uomo e il suo contesto. Non solo perché la legge lo impone, ma perché è una scelta strategica per il benessere collettivo e la sostenibilità dell’intero sistema sociale ed economico».