Tumori e mutazioni genetiche: lo studio lombardo che guarda al futuro della prevenzione

All’ospedale di Busto Arsizio, in collaborazione con lo IEO di Milano, una ricerca indaga il legame tra terapie antitumorali e neoplasie mieloidi secondarie. L'obiettivo è anticipare i rischi grazie all’analisi genetica, come nel caso reso celebre da Angelina Jolie.

BRCA e neoplasie secondarie: una nuova frontiera della ricerca oncologica a Busto Arsizio

Un’indagine scientifica di grande rilievo è attualmente in corso presso l’ospedale di Busto Arsizio, in sinergia con l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. Al centro della ricerca vi è la possibile correlazione tra l’uso dei farmaci antitumorali inibitori della PARP – particolarmente efficaci nei tumori legati alle mutazioni genetiche BRCA – e l’insorgenza di neoplasie mieloidi secondarie, ovvero tumori del sangue che possono svilupparsi come effetto collaterale delle terapie.

Il caso Jolie e la consapevolezza genetica

È stato definito “la mutazione Jolie” il gene BRCA, salito all’attenzione pubblica circa dieci anni fa quando l’attrice Angelina Jolie annunciò di esserne portatrice. La mutazione comporta un rischio molto elevato di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. Jolie decise di sottoporsi a una doppia mastectomia preventiva, aprendo un dibattito globale sull’importanza della genetica nella prevenzione oncologica.

È proprio a partire da questi presupposti che la dottoressa Elisabetta Todisco, direttrice della Struttura complessa di ematologia e del Dipartimento oncologico dell’ASST Valle Olona, ha avviato uno studio focalizzato sul carcinoma ovarico BRCA-correlato. Il progetto è stato già presentato al congresso della Società Europea di Ematologia (EHA) tenutosi a Berlino.

Terapie efficaci, ma con effetti collaterali

Lo studio si concentra in particolare sui farmaci inibitori della PARP, che bloccano una proteina cruciale per la sopravvivenza delle cellule tumorali con mutazioni BRCA. Questi farmaci, seppur molto efficaci, sembrano poter compromettere anche le cellule staminali ematopoietiche del midollo osseo, aumentando così il rischio di sviluppare neoplasie mieloidi secondarie.

Per studiare questo possibile effetto collaterale, i ricercatori stanno analizzando campioni di sangue di pazienti affette da carcinoma ovarico in vari momenti del trattamento: prima della somministrazione del farmaco e a intervalli regolari nei mesi successivi.

Screening genetico per prevenire, non solo curare

Il cuore dello studio è la prevenzione. Secondo Todisco, riconoscere precocemente le mutazioni genetiche attraverso lo screening permette di identificare le pazienti più a rischio di sviluppare tumori secondari e intervenire per tempo. In futuro, questo potrebbe tradursi nella possibilità di adattare i trattamenti oncologici alla predisposizione genetica di ciascun individuo, limitando l’esposizione a terapie potenzialmente dannose.

Proprio come nel caso di Angelina Jolie, che grazie a un test genetico ha potuto compiere una scelta consapevole, lo studio di Busto Arsizio punta a un approccio sempre più personalizzato e preventivo alla medicina oncologica. Una strada che, oltre a curare, potrebbe salvare molte vite prevenendo lo sviluppo di malattie ancora più gravi.