Roma si prepara a rendere omaggio a Pippo Baudo. Dopo la camera ardente privata di oggi al Policlinico Campus Biomedico, domani – lunedì – il feretro del grande conduttore sarà trasferito al Teatro delle Vittorie, dove dalle ore 10 sarà possibile per tutti i cittadini, fan e colleghi dare l’ultimo saluto a uno dei volti più amati della televisione italiana.
La decisione di aprire la camera ardente al pubblico risponde al desiderio di quanti, in queste ore, hanno espresso la volontà di salutare Baudo, che per decenni ha accompagnato le famiglie italiane con i suoi programmi. La scelta del Teatro delle Vittorie non è casuale: è lo spazio che più di ogni altro rappresenta la sua lunga carriera, punto d’incontro tra palcoscenico e televisione, due mondi che Baudo seppe unire con eleganza e passione.
Nel ricordare la sua vita, Baudo aveva raccontato con orgoglio la sua svolta professionale: «Ho vissuto la vita che sognavo, senza rimpianti né rimorsi. Ogni desiderio che avevo nel cuore l’ho realizzato. L’arrivo della televisione cambiò per sempre la mia esistenza da giovane studente: guardavo quella scatola luminosa e dicevo ai miei genitori che un giorno ci sarei stato anch’io, lì dentro. Mia madre avrebbe voluto vedermi medico, mio padre avvocato. In effetti mi sono laureato in Giurisprudenza, ma la mia vera vocazione era altrove: la televisione era pronta ad accogliermi e a trasformare la mia passione nel sogno di una vita. La svolta arrivò con Settevoci. L’idea era mia, registrammo sei puntate, ma non piacquero a un dirigente e finirono dimenticate in un magazzino. Non mi persi d’animo: pregai il magazziniere di ricordarsi del mio programma, qualora ci fosse stato un vuoto di palinsesto. E il destino volle metterci lo zampino: la copia di un episodio del telefilm Rin Tin Tin non arrivò in tempo e, al suo posto, mandarono in onda la mia trasmissione. Fu un trionfo inaspettato, un successo enorme, e da quel momento iniziò davvero la mia carriera. Si può dire che il mio cammino nel mondo della televisione lo devo a un cane. Ma forse era solo il destino che bussava alla mia porta.»