Luca Sinigaglia, l’eroe delle vette: il sacrificio che racconta l’anima dell’alpinismo

Un italiano perde la vita sul Pobeda Peak tentando di salvare una collega bloccata a oltre 7.000 metri. La solidarietà tra scalatori come codice morale in alta quota.

Luca Sinigaglia, alpinista italiano di grande esperienza, è morto nel tentativo di salvare Natalia Nagovitsyna, una scalatrice russa rimasta bloccata con una gamba fratturata sul Pobeda Peak, una delle montagne più pericolose del Tien Shan in Kirghizistan, alta 7.439 metri. Appena Luca ha appreso della gravissima situazione della collega, ha scelto senza esitazione di intervenire, consapevole dei rischi estremi che avrebbe comportato. Assieme a un alpinista tedesco, ha raggiunto Natalia, fornendole supporto, cibo e attrezzatura per sopravvivere alla notte gelida, ma le condizioni estreme in quota si sono rivelate fatali: Luca è rimasto bloccato e ha perso la vita.

La tragedia di Sinigaglia non è un caso isolato: nelle alte montagne, soccorrere altri alpinisti è parte di un codice etico non scritto. La solidarietà tra scalatori nasce dalla consapevolezza dei rischi condivisi: in condizioni estreme, aiutare chi è in pericolo diventa un imperativo umano. Le operazioni improvvisate, sebbene coraggiose, spesso mettono in gioco la vita di chi interviene, come purtroppo accaduto a Luca.

Lo scorso 12 agosto, Natalia Nagovitsyna si era fratturata una gamba mentre scendeva dalla vetta del Pobeda Peak, noto anche come Jengish Chokusu, la montagna più alta del Tien Shan e del Kirghizistan, nonché una delle più insidiose tra i ‘Settemila’ dell’ex Unione Sovietica. Ricevuta la notizia, Luca ha immediatamente risposto all’allarme, insieme al compagno tedesco, portando alla russa un sacco a pelo, un fornello, cibo e una bombola di gas: tutto il necessario per resistere alle temperature estreme.

Nonostante la stanchezza e le burrasche che li hanno colpiti durante la salita, i due soccorritori hanno tentato un secondo avvicinamento, ma una violenta bufera li ha sorpresi a circa 300 metri dalla posizione della russa, costringendoli a passare un’altra notte in condizioni proibitive. Le mani di Luca hanno subito gravi congelamenti e un medico consultato via radio ha ipotizzato edema cerebrale da alta quota, aggravato da ipotermia e congelamento.

Venerdì 15 agosto, Luca Sinigaglia è morto a circa 6.900 metri di altitudine. Il recupero del corpo è complicato dalle condizioni meteorologiche avverse, così come la situazione di Natalia, che continua a lottare per la vita, con speranze sempre più ridotte.

Luca ha perso la vita sulle montagne che erano la sua passione più grande, spinto dall’istinto di aiutare chi era in difficoltà. La sua storia resta un esempio luminoso di coraggio, altruismo e amore per l’alpinismo: valori che si manifestano in ogni gesto di solidarietà ad alta quota.