«L’alpinismo è uno sport durissimo, tra i più belli e appassionanti. Oliviero l’ha portato ai livelli più alti. “L’uomo con le ali” è un soprannome perfetto: quelle ali erano la sua libertà.»
Con queste parole il giornalista Claudio Arrigoni ha aperto la serata-omaggio a Oliviero Bellinzani, l’alpinista varesino che seppe trasformare la montagna in un orizzonte di senso, di rinascita e di vita.
«Siate voi stessi e siate quello che cercate e che volete essere» ha ricordato Arrigoni, indicando nel suo messaggio il lascito più autentico di Oliviero: un invito alla libertà interiore.
«Sì, lui era il mio papà»
Sul palco, Xania, la figlia, racconta il suo ricordo con una semplicità disarmante.
«Un’amica mi ha chiesto: “Ma era il tuo papà?”. Sì, e io ho imparato prima a saltellare su una gamba e poi a camminare. Per me era normale vederlo muoversi così in casa. Quel suono di salti e stampelle mi accompagna ancora quando vado in montagna.»
Il ricordo corre inevitabilmente al 21 agosto 2015, il giorno della tragedia: una frana di sassi lo travolse poco sotto la cima del Grauhorn, nelle Alpi Lepontine svizzere.
«Da allora tanti amici mi dicono che vanno meno in montagna. Lui alimentava un giro continuo di passioni, di progetti, di salite. Non si fermava mai.»
Xania rievoca poi l’infanzia di suo padre: nato in Valcuvia nel 1955, bambino irrequieto e curioso, sempre arrampicato sugli alberi, atleta naturale — 100 metri, campestri, 10 km al giorno — ma anche studioso appassionato di storia e letteratura.
La frattura e la rinascita
Il 5 febbraio 1977 segna la svolta: l’incidente in moto, il trauma, l’amputazione. «Due volte vicino alla morte», dirà poi.
Eppure, nell’agosto di quello stesso anno, arriva la prima rinascita: il Monte Nudo, la cima di famiglia.
«Convince il nonno a portarlo su. È sfinito, ma arriva. Da lì capisce che la montagna può essere il suo modo di stare al mondo.»
La seconda vita: diari, cime e una testarda idea di felicità
Gli anni Ottanta aprono il nuovo cammino: Punta Battisti (1985), Grignetta, e poi le prime grandi imprese degli anni Novanta.
«Decide che la montagna è la sua vita e comincia a andarci ininterrottamente» racconta l’amica Samia.
Tra le tappe: Punta d’Arbola (1994), le ripetizioni alla Punta Angelina, la Capanna Margherita (1996), con una giovanissima Xania al suo fianco.
Sono anche gli anni della sperimentazione: la protesi da arrampicata, sviluppata al centro INAIL di Budrio con l’ingegnere Gennaro Verni, adattata per ghiaccio e roccia.
Arriva persino a frequentare un corso su cascate di ghiaccio, forse il primo in Italia con una disabilità a parteciparvi.
La sua voce, registrata in un video, abbatte ogni cliché:
«Il mio ostacolo più grande è stato psicologico: superare le barriere che avevo costruito da persona “sana”. Le cose le fai perché le vuoi. Io voglio vivere una vita che valga la pena ricordare, anche se mi manca una gamba.»
Cervino in giornata: il sogno che diventa film
A raccontare un’impresa simbolo è Massimo Magnocavallo, compagno di tante salite.
Il 25 luglio 2003: Cervinia, giornata perfetta. La guida propone di tentare il Cervino in giornata.
«Otto ore dall’Hörnli alla cima. Superavamo cordate, lui scherzava: “Hai visto? Mi manca una gamba, scendiamo?”. Eravamo una cosa sola.»
Con Massimo arrivano altri capitoli: il Pizzo Badile, il Monte Bianco risalito in solitaria «con un rampone e due stampelle», le concatenazioni di cime, i progetti senza fine.
Tra questi, Linking Together (2007): nove 4.000 del Monte Rosa concatenati fra Valsesia e Cervinia, fino alla Dufourspitze. E poi la Cima Grande di Lavaredo e il sogno lontano del Kilimanjaro, che gli amici hanno poi realizzato portando la sua foto in vetta.
Magnocavallo racconta anche l’accompagnamento di Luigi, ragazzo nello spettro autistico, portato passo dopo passo fino ai 4.000 metri e ai campi alti del Kilimanjaro.
«La montagna come scuola di pazienza e possibilità: l’eredità di Oliviero che continua. Ora la sua foto è lassù, tra le nuvole, dove aveva sempre sognato di arrivare.»
La misura vera delle cose
Le immagini scorrono: l’alba sul Gran Paradiso, il Cervino sulla cresta, i sorrisi sudati in vetta.
In sala c’è anche Fabrizio Manoni, compagno di Oliviero nell’apertura della via “Con le ali” e nel cortometraggio premiato al Bergamo Film Meeting e all’Elogio Film Festival, con una menzione speciale della Camera dei Deputati.
Nel film, Oliviero dice:
«La montagna dà emozioni vere e forti. Diventi parte del tutto rimanendo te stesso. È il massimo della libertà.»
Un invito semplice, un’eredità viva
Alla fine della serata resta un’idea limpida, più forte di qualsiasi record — e i 1.131 vertici raggiunti da Oliviero parlano da soli.
La libertà non è un traguardo, ma una pratica quotidiana: alzarsi, provare, riprovare.
Fare le cose perché le vuoi.
Oliviero Bellinzani, “l’uomo con le ali”, ha insegnato proprio questo.
E chi lo ha amato — una figlia, gli amici di cordata, una comunità intera — continua a camminare lungo quel sentiero che lui ha aperto: quello della libertà che si conquista passo dopo passo.













