MILANO – “Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo”. Così amava definirsi Giorgio Forattini, morto oggi all’età di 94 anni. Una frase che riassume bene la personalità di un artista che, con la sua matita, ha raccontato mezzo secolo di politica italiana, colpendo tutti — da destra a sinistra — con la stessa irriverenza.
Gli inizi: un ribelle prestato al disegno
Nato a Roma nel 1931, Forattini cresce in una famiglia borghese e conservatrice. Fin da ragazzo mostra talento per il disegno e una certa inclinazione alla ribellione. Dopo il liceo classico tenta la via dell’architettura e del teatro, ma presto abbandona gli studi per lavorare: prima come operaio in una raffineria, poi come rappresentante di commercio e infine come pubblicitario per grandi aziende come Fiat e Alitalia.
A quarant’anni, stanco della routine, decide di “rimettere mano alla matita”. Vince un concorso per disegnatori del quotidiano Paese Sera e pubblica le prime vignette. La sua ascesa è rapidissima.
Dalla “porta laterale” al centro della scena
Il suo primo grande colpo arriva nel 1974, con una vignetta sul referendum sul divorzio: una bottiglia di spumante con la scritta “NO” che stappa un tappo dalle sembianze di Amintore Fanfani. L’ironia pungente e la sintesi visiva conquistano il pubblico.
Nel 1975 entra a La Repubblica, chiamato da Eugenio Scalfari, dove diventa una firma fondamentale. “Lui l’ha fondata, io l’ho disegnata”, dirà Forattini con orgoglio. Con Sergio Staino e Ellehappa fonda Satyricon, il primo inserto satirico italiano, e nel 1978 dirige Il Male, altra pietra miliare della satira.
Satira senza bandiere
Forattini non risparmia nessuno: Craxi come Mussolini, D’Alema come Hitler comunista, Prodi vestito da prete, Amato trasformato in Topolino, Ciampi in un cane e Veltroni in un bruco.
Le sue vignette diventano parte del dibattito politico, tanto da provocare querele celebri: Bettino Craxi lo porta in tribunale, Massimo D’Alema chiede tre miliardi di risarcimento per una vignetta sulla lista Mitrokhin. Ma Forattini non arretra: “Sono sempre stato un liberale, un uomo libero. Non di destra né di sinistra”.
Celebre la stima reciproca con Giulio Andreotti: “A me mi ha inventato Forattini”, dirà il politico.
Gli anni della maturità e l’eredità artistica
Dopo La Repubblica approda a La Stampa, dove trova piena libertà creativa grazie a Gianni Agnelli. Collabora anche con Il Giornale e i quotidiani del gruppo QN. In carriera pubblica circa 14mila vignette, ricevendo numerosi premi tra cui l’Ambrogino d’Oro.
Nonostante le polemiche, Forattini resta fino alla fine un osservatore lucido e graffiante della realtà italiana. Solo una vignetta — quella sulla morte di Raul Gardini — dirà di rimpiangere: “Avrei voluto chiedergli scusa”.
L’ultimo graffio
Negli ultimi anni aveva denunciato il declino della libertà di satira in Italia: “Chiesa, potere e magistratura non tollerano l’ironia. È un Paese che non sa ridere di sé”.
Con la sua morte, la satira italiana perde la sua matita più tagliente, quella che per decenni ha saputo dire, con un sorriso e un tratto di penna, ciò che molti non osavano nemmeno pensare.













