«Non sono socialmente pericoloso»: parla Elia Del Grande dopo la fuga da Castelfranco Emilia

L’ex detenuto, oggi capo squadra in un’azienda di giardinaggio, respinge l’etichetta di pericolosità sociale e racconta la sua versione sulla fuga dalla Casa Lavoro, denunciando condizioni degradanti e un sistema di misure di sicurezza “senza fine”.

«Io, socialmente pericoloso? Ho i messaggi del mio datore di lavoro e di tanti colleghi che dimostrano il contrario. Sono capo squadra in un’azienda che si occupa di giardinaggio e potature, ho un impiego, una vita regolare. Non sono un pericolo per nessuno».
Così Elia Del Grande, il cinquantenne di Cadrezzate, ha risposto in una breve telefonata alla redazione della trasmissione televisiva Le Iene, pochi giorni dopo la sua fuga dalla Casa Lavoro di Castelfranco Emilia.

L’uomo è tornato sui temi già affrontati, mettendo in discussione la legittimità e l’efficacia delle misure di sicurezza applicate a chi, come lui, ha già scontato una lunga pena ma rimane comunque sottoposto a restrizioni.

Del Grande era stato trasferito nella struttura emiliana lo scorso 23 settembre, dopo che il magistrato di Sorveglianza aveva deciso di aggravare la misura a suo carico, sostituendo la libertà vigilata con la permanenza obbligatoria in una Casa Lavoro.

«Il contatto con quell’ambiente mi stava distruggendo — ha raccontato —. Era un luogo degradato, violento, inadatto a curare persone con problemi psichiatrici seri. Così, quella sera del 30 ottobre, verso le 18, ho deciso di andarmene. Pioveva, c’era una fitta nebbia: ho pensato che le telecamere non mi avrebbero visto. Ho legato alcuni metri di filo elettrico e mi sono calato dalle mura».

Alla domanda se qualcuno lo avesse aiutato nella fuga, Del Grande ha risposto seccamente: «No, nessun complice». Ha solo accennato a un tassista incontrato successivamente, quando era già lontano dalla struttura modenese.

Condannato nel 1998 per il triplice omicidio dei genitori e del fratello, Elia Del Grande ha trascorso oltre venticinque anni in carcere. Oggi rivendica la sua volontà di reinserirsi nella società e di non essere più considerato pericoloso.

Replica anche alle accuse del magistrato di Sorveglianza di Varese, che aveva segnalato “reiterate violazioni” della misura di libertà vigilata: «Le violazioni riguardavano soltanto i controlli notturni. Venivano a casa dopo mezzanotte, quando dormivo e non sentivo il campanello».

Del Grande denuncia quello che definisce un “ergastolo in bianco”: una misura di sicurezza che, di fatto, può essere prorogata senza fine, con riesami fissati ogni sei mesi e senza un reale percorso di reintegrazione. «Non voglio vivere per sempre in queste strutture. Voglio poter dimostrare con il mio lavoro e la mia condotta che non sono più un pericolo per nessuno».