Per anni Paolo Trame aveva ripetuto la stessa frase, nei corridoi del tribunale, agli assistenti sociali e ai colleghi di lavoro: «Lasciarli soli è pericoloso, così Giovanni rischia la vita». Quel timore, messo per iscritto in documenti e relazioni ufficiali, si è purtroppo trasformato nella tragedia avvenuta mercoledì sera a Muggia, dove il bambino di 9 anni è stato ucciso dalla madre, Olena Stasiuk, con una coltellata alla gola.
Secondo la ricostruzione, l’uomo aveva più volte segnalato la fragilità dell’ex moglie, seguita da anni per un disturbo psichico e sotto terapia farmacologica. Già nel 2021 aveva chiesto che gli incontri tra madre e figlio avvenissero solo sotto supervisione, avvertendo chiaramente che in caso contrario «qualcuno avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di un esito terribile». Parole che oggi risuonano come un presagio.
La storia familiare era complessa: la coppia si era separata quando Giovanni aveva appena un anno, tra litigi, difficoltà economiche e un crescente disagio psicologico della donna. Nel giugno 2023 un episodio aveva destato particolare allarme: il bambino era arrivato in pronto soccorso con lividi sul collo e alla mascella, raccontando che la madre aveva tentato di strangolarlo. Quel precedente è ora tra gli atti al vaglio della procura, che indaga per omicidio volontario aggravato.
Dalle carte emergono anche minacce e frasi inquietanti pronunciate dalla donna nei momenti di crisi: «Se muoio io, Giovanni muore con me»; oppure: «Mi butto in mare e mi porto via il bambino», riportate da assistenti sociali e giudici che avevano seguito la vicenda. Proprio questi elementi avevano inizialmente portato il tribunale a limitare gli incontri a momenti protetti, sempre alla presenza degli operatori.
Solo da poche settimane, dopo valutazioni che indicavano un’apparente stabilizzazione della donna, le visite erano tornate parzialmente libere: poche ore, il mercoledì pomeriggio. Una decisione che aveva lasciato il padre profondamente preoccupato. Ai colleghi del Sincrotrone di Basovizza, dove lavora, aveva confidato meno di due settimane fa: «Così finirà malissimo. Lei lo ammazzerà».
Il giorno stesso dell’omicidio si sarebbe dovuto discutere dell’affidamento definitivo, in un’udienza poi rinviata a febbraio. Ma la cronologia degli eventi ha preceduto qualsiasi decisione. Gli amici e i parenti dell’uomo parlano ora di «una morte annunciata» e chiedono che si faccia piena luce sulle responsabilità di chi, negli anni, ha valutato la situazione.
Resta una domanda drammatica, che attraversa l’intera comunità e le istituzioni coinvolte: Giovanni poteva essere salvato?
Una risposta che non restituirà la vita a un bambino, ma che sarà decisiva per evitare che tragedie simili possano ripetersi.













