Piccolomo resta dentro Una felpa lo incastra?

COCQUIO TREVISAGO «A questo punto presumo che la richiesta di scarcerazione non sia stata accolta. Attendo che il tribunale del Riesame depositi l’ordinanza, entro martedì, e mi preparo ai prossimi passaggi, in particolare all’incidente probatorio sui reperti trovati all’interno della villetta di Carla Molinari». È il tardo pomeriggio di ieri quando l’avvocato Simona Bettiati, rispondendo al telefono, mette in fila gli impegni che la attendono per le prossime settimane in quella che appare una difesa sempre più impervia. Dimostrare cioè che Giuseppe Piccolomo non c’entra nulla con l’orrendo delitto di Cocquio, con le mani mozzate e altri particolari horror che hanno impressionato l’opinione pubblica nazionale.

Sono passate 36 ore dall’udienza di Milano, e ormai si riducono al lumicino le residue speranze in un verdetto che sarebbe davvero clamoroso. È prassi consolidata infatti che, in caso di accoglimento della richiesta, il tribunale disponga l’immediata scarcerazione, e si riservi le motivazioni per i giorni successivi, per non lasciare in carcere l’indagato una sola ora in più senza giustificazione. Ma anche la giornata di ieri è trascorsa invano: e a questo punto appare chiaro l’orientamento del collegio milanese. Peraltro, che l’udienza non stesse girando per il verso voluto, l’avvocato l’aveva intuito subito: quando era stata colta in contropiede dallo stesso Piccolomo che, del tutto inaspettatamente, aveva espresso volontà di rendere spontanee dichiarazioni. Peccato che con il legale due giorni prima avesse concordato tutt’altra linea: quella cioè del silenzio.

Ora Simona Bettiati minimizza la portata di quella uscita a sorpresa del suo assistito: «Posso capirlo, si trova in una posizione non facile, è difficile per chiunque reggere una pressione così forte». Ma sono state proprio le sue parole a costituire un clamoroso autogol, in particolare quando ha voluto precisare di essersi recato in municipio a Ispra il giorno 6 dicembre, e non il 5 (il giorno del delitto), come erroneamente indicato sulla relata di notifica di un atto consegnatogli dal messo comunale. Ma su quell’errore l’avvocato si era appoggiato per attaccare quegli indizi gravi, concordanti e precisi che il pm Luca Petrucci aveva portato a sostegno della sua richiesta di custodia cautelare. L’altro inciampo, Piccolomo l’ha commesso quando ha affermato che non è lui l’uomo nei fotogrammi delle telecamere del centro commerciale di Cocquio, perché, ha detto, porta sempre gli occhiali. Peccato che non li avesse nemmeno in udienza, proprio mentre pronunciava quelle parole: particolare che non è sfuggito al presidente del collegio, che ha rimarcato l’incongruenza.

Il resto lo ha fatto il pm Petrucci, che di fronte ai giudici milanesi ha insistito su un elemento nuovo, quello della felpa bianca con cappuccio, che le telecamere hanno registrato addosso a Piccolomo, riconosciuto nei fotogrammi dalle figlie, il 5 novembre poco prima del delitto, ma non in mattinata, quando per proteggersi dal freddo indossava il piumino rosso che aveva il giorno del fermo e che sfoggiava anche in udienza venerdì a Milano. Ma di quella felpa, strategicamente con cappuccio – utile per non perdere capelli sulla scena de delitto, ha sottolineato il pm – si sono perse le tracce. Come mai?
Franco Tonghini

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