VARESE Carlo Lucchina deve essere assolto senza “se” e senza “ma”. La richiesta è arrivata ieri mattina, nel tribunale di Varese, per bocca degli avvocati difensori: i milanesi Fabrizio Gobbi e Giovanni Ponti.L’ex direttore generale dell’azienda ospedaliera di Varese (ora direttore generale della sanità in Lombardia) è accusato di abuso in atti d’ufficio, falso ideologico e truffa. A suo carico il pubblico ministero Claudio Gittardi della Direzione antimafia di Milano ha chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione. Il nodo della quesione è l’appalto del reparto infettivi del Circolo, passato nel 2001 dalle mani della ditta Salvatore Scuto e figli srl alla ditta gelese Angelo Russello spa, poi diventata Tencical spa: una cessione, secondo l’accusa, del tutto illegale che ha comportato, fra l’altro, un aumento sostanzioso e immotivato dei costi a carico della Regione e della stessa azienda ospedaliera. L’udienza di ieri è stata completamente dedicata alla requisitoria dei difensori di Lucchina, presente in aula accanto ai suoi legali. Davanti al collegio giudicante presieduto da Orazio Muscato, Gobbi e Ponti hanno provato a smontare una a una le accuse. A cominciare dal movente che, a detta dei legali, non esiste. «Perché il dottor Lucchina avrebbe dovuto dedicare per alcuni anni uno spicchio della sua attività alla commissione di gravi e reiterati reati? – ha domandato, in forma retorica, l’avvocato Ponti – Forse per favorire senza alcuna ragione un’azienda e dei privati a lui totalmente sconosciuti?». Secondo
i legali, l’impianto accusatorio avrebbe potuto reggere (quanto meno in linea teorica) se fosse rimasta in piedi l’ipotesi aggravante: che, cioé, Lucchina avesse agito per favorire «l’attività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti in Gela e nella provincia di Caltanissetta». Ma questa ipotesi è caduta con l’assoluzione di Fabrizio Russello, titolare dell’omonima ditta, dall’accusa di associazione mafiosa.Gobbi e Ponti hanno tra l’altro rimarcato come non sia trattato di un subappalto (vietato dalla normativa antimafia) dalla Scuto alla Russello, bensì di un subentro vero e proprio da una nuova azienda a un’altra avviata verso la via del fallimento. Un subentro, fra l’altro, già ammesso come lecito da altre amministrazioni pubbliche (in Sicilia) che avevano appalti in essere con la Scuto.Ancora Gobbi e Ponti hanno sottolineato come la documentazione inerente l’appalto sottoposta a Lucchina avesse tutti i crismi prescritti dalla legge; mentre «quel preteso vizio nella procedura di acquisizione della documentazione antimafia non riguardava adempimenti dei quali era responsabile il direttore generale». Ancora, hanno sostenuto i legali, tutte le delibere inerenti l’appalto sono passate indenni dalle analisi del collegio dei revisori dei conti dell’azienda ospedaliera, «organo indipendente di nomina ministeriale». Lucchina, insomma, sarebbe stato vittima di una sorta di «logica del sospetto» da parte dei magistrati che si sono occupati del caso.Si tornerà in aula il 21 maggio: prenderanno la parola le difese degli altri imputati. Il pm, infatti, ha chiesto 10 condanne per altrettanti imputati e tre assoluzioni.Enrico Romanò
e.marletta
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