"A Varese tre ore di musica"Red Canzian racconta i Pooh

VARESE Stavolta è proprio l’ultimo giro, e già le migliaia di fan dei Pooh, il più longevo gruppo del pop italiano, nato nel 1966 a Bologna dalla passione di tre amici con in testa Valerio Negrini, batterista e paroliere, il “quinto Pooh” e unico rimasto fino a oggi dello storico trio fondatore, hanno già versato lacrime di dolore a ogni data del tour. “Ancora una notte insieme” è la tappa conclusiva di un percorso artistico multiforme,

che ha attraversato quarant’anni della nostra storia con successi memorabili, e che termina dopo l’annuncio di Stefano D’Orazio, batterista e amministratore del gruppo, di lasciare a fine settembre, dopo 38 anni, a tour concluso.
Per questo l’appuntamento del 14 settembre al Palawhirlpool si carica di significati particolari, di un’intensità emotiva straordinaria, perché il concerto ricapitola l’intera storia del gruppo di Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian e Stefano D’Orazio, con la riproposizione dei brani più vecchi accanto all’ultimo “Ancora una notte insieme”, pubblicato lo scorso 8 maggio e capace di vincere il Disco di platino grazie alle 70 mila copie vendute.

Che sarà ora dei Pooh, vera e propria azienda musicale capace di vendere 25 milioni di album e 23 milioni di singoli? Lo chiediamo a Bruno Canzian, in arte Red (il soprannome gli viene dai Capsicum Red, gruppo del suo esordio), 57 anni, bassista e cantante del gruppo, autore di molti brani in coppia con D’Orazio, come “Tu dove sei” o “Io ti aspetterò”. «Il nostro è un marchio che merita rispetto, non andremo avanti per tirare comunque la carretta. Davvero non sappiamo ancora cosa sarà dei Pooh, probabilmente ognuno di noi lavorerà più per sé, alimenterà le proprie passioni».

Che ricordi ha legati a Varese, qualcuno personale o soltanto di lavoro?
«Bellissimi ricordi di lavoro, a Varese abbiamo fatto sempre concerti splendidi, con un pubblico eccezionale. Sarà l’aria o la natura che c’è intorno…»

Ognuno di voi ultimamente ha un pupillo da lanciare, lei segue da vicino sua figlia Chiara, che a 19 anni ha inciso “Novembre ‘96” un album di solida tecnica.
«Chiara è bella dentro e fuori, un’ottima musicista, altrimenti non le avrei fatto fare la cantante. Prova con la band, scrive pezzi, ha una voce molto personale, con il timbro sabbiato di sua madre Delia Gualtiero, la metterei tra Alanis Morissette, Giorgia ed Elisa».

Quali sono le caratteristiche di questo ultimo tour?
«Cantiamo 45 brani, tre ore di musica, solo il bis dura 40 minuti, come il concerto di un cantante singolo. Nelle precedenti tappe abbiamo incontrato persone che non vedevamo da anni. La gente è in lacrime, ci vorrebbe abbracciare, ci sono standing ovation, applausi che durano dieci minuti. Abbiamo spesso di fronte tre generazioni, nonni padri e nipoti».

Voi siete sempre stati molto attenti alla tecnologia, con soluzioni d’avanguardia.
«Un gruppo deve farlo, portare l’esempio per i cantanti solisti. Poi siamo quattro curiosi».

La canzone a cui è più legato?
«"Uomini soli”", equilibrata e matura».

Ha ancora la passione per la botanica?
«Come no, la scorsa settimana in montagna cercavo le “carline”, grosse margherite tardive, mi piace osservare le orchidee selvatiche e i piccoli larici. Amo la natura e porto avanti diverse iniziative nelle scuole. Sono un musicista anomalo, invece di cercare le donne cerco le piante…»

Altre passioni oltre la musica e i fiori?
«L’arte contemporanea. Impazzisco per Mimmo Rotella e Schifano, ma oggi i prezzi sono fuori di testa. Poi amo l’antiquariato, le statue lignee del ‘400 e del Barocco, ho qualche bel pezzo, acquistato in tempi non sospetti».

A proposito di eredi: Philipp, figlio di sua moglie Beatrice, fa il batterista. Non è che lo si potrebbe mettere al posto di Stefano D’Orazio?
(risata) «Bravo è bravo, ma non voglio dargli una responsabilità come questa!».

Mario Chiodetti

v.colombo

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