Un «Number 12, “Luica Campini”» è perfino accettabile rispetto al modo in cui lo speaker restituisce al pubblico della Sleuyter Arena il nome di coach Paolo Moretti, in fondo alla classica presentazione alla “americana” delle due squadre: «… and the coach is Paolo Maldini!». Maldini?
Il misunderstanding che mixa come se fosse un Negroni pronto per l’aperitivo pressapochismo, difficoltà linguistiche, comicità involontaria e un’inopportuna chiamata in causa di leggende calcistiche ormai da tempo in “pensione” è solo uno dei tanti piccoli particolari di una storia che i belgi hanno immaginato in un modo e Varese ha scritto in un altro: un successo dei biancorossi, qui, non se l’aspettava davvero nessuno. Del romanzo, dal variopinto contenuto, che potrebbe passare ai posteri come “Colpo gobbo sul Mare del Nord”, va innanzitutto inquadrato il contesto. Ostenda, cestisticamente parlando, è più una Milano che non una Varese del Belgio: messe di titoli (16) e coppe (20) nazionali riempiono la bacheca, e si accompagnano a una nouvelle vogue che vede gli oro-neri impegnati a costruirsi una solida reputazione continentale. Le somiglianze con la nostra realtà afferiscono più al profilo ambientale: Ostenda e Varese sono due piccole città che respirano pallacanestro. Anche a questi lidi c’è un sindaco Fontana che non si perde una gara, anche qui il palazzetto si riempie di passione una domenica sì e l’altra pure, anche in queste Fiandre fatte di spiagge infinite e vento che ti abbatte i profani veri non esistono.
Altre basilari premesse: «Domenica scorsa hanno passeggiato, due settimane fa pure – chiacchierava nel pre partita Moretti – Le uniche due gare impegnative che hanno in campionato fino ai playoff sono quelle contro Charleroi. E’ chiaro che la coppa diventa per loro fondamentale: questi giocano per arrivare fino in fondo». E che dire di avversari che si presentano senza il loro miglior protagonista? «Perché Ukic non è venuto?» ci chiede con un sorriso beffardo un giornalista locale? La risposta non spegne la smorfia compiaciuta. Ci fosse un fumetto sopra la testa del cronista, a dare una voce ai suoi pensieri, forse verrebbe riempito così: «Ok, anche oggi è andata…». I piani della collettività vengono sconvolti fin da principio, perché Varese alloggia in campo con un’aggressività veemente e con una concentrazione quasi feroce. La Telenet pare nettamente superiore dal punto di vista fisico e per di più viene beneficiata da alcune decisioni davvero benevoli da parte dei fischietti: non serve a nulla, la Openjobmetis si mette subito davanti con la precisione del suo attacco. E non molla. Dopo uno dei “fischi” di cui
sopra, Moretti chiama timeout e Faye, arrabbiato per il fallo appena comminatogli dagli arbitri, tira un calcio a una sedia della panchina. Apriti cielo: tre maturi e focosi tifosi locali, seduti nelle prime file, scendono verso la panchina di Moretti a disturbarne il lavoro. Il nostro coach si infuria e corre a lamentarsi, giustamente, verso il tavolo: ci vuole la calma intrisa di esperienza di Bruno Arrigoni e Max Ferraiuolo a filtrare l’area tecnica ospite dai supporter imbufaliti. La bagarre plana sulla moderna e funzionale arena (ah se si potessero costruire impianti del genere anche da noi, con centri commerciali integrati, luoghi per mangiare o bere una birra in santa pace e tante altre amenità sconosciute nelle nostre cattedrali sportive…) e non la lascia più, ma non riesce a scalfire la determinazione biancorossa. Non lo fanno gli insulti dagli spalti, diretti un po’ agli arbitri (è un continuo di «Hey Reef…» seguito da epiteti vari) e un po’ ai varesini sul parquet. Non lo fanno nemmeno le risate di scherno, distinguibili nitidamente quando Wayns si produce in una strana infrazione di 8 secondi.
Ci si aspetta che da un momento all’altro la marea casalinga travolga quella ospite, ma non accade mai: Ostenda, pur mettendo il fiato sul collo di Varese, non riesce mai – nemmeno una santissima volta in quaranta minuti – a passare in vantaggio. E sugli spalti si ride meno quando arriva la sequenza di triple che ammazza la contesa, firmata in serie da Faye, Galloway, Campani e Kuksiks. Molto meno. Vince Varese, vince l’orgoglio di chi ha tirato fuori una prestazione inaspettata in uno dei momenti più difficili, vincono dei giocatori che – questa volta – sono stati capaci di portare degnamente in giro per l’Europa il nome che hanno sulle canotte, un nome che la sicumera di Ostenda avrà imparato finalmente a conoscere. «Ce l’avete fatta eh? – chiede retorico e un po’ abbacchiato il tassista che ci riporta in Joseph II straat, centro città – Lo hanno appena detto alla radio». No, non se lo aspettava davvero nessuno… La rivincita più bella, tuttavia, è il saluto dello stesso giornalista un po’sprezzante dell’inizio. La sua versione post sconfitta è quasi ossequiosa: «See you at the Final Four». Ma non dovevate mangiarci?