«Il comico non diventa mai adulto, resta sempre un bambino. La sua funzione è quella di stabilire una specie di amore per la scempiaggine, l’ignoranza, l’infantilismo. Fa tornare alla mente i ricordi più felici» così Paolo Villaggio, morto ieri a 84 anni, si raccontava sul palco del Teatro Sociale di Luino nel 2012.
Il 25 marzo di quell’anno, infatti, ritirava il Premio Chiara alla Carriera, conferitogli “per l’originalità con cui, attraverso la sua grottesca e dissacrante ironia, ha saputo evidenziare, in scritti, al cinema, in teatro, in televisione, vizi e virtù degli Italiani”.
Ritirò il premio “duettando” con l’amico Massimo Boldi che lo definì così: «Villaggio è Villaggio, come Totò è Totò non si può descrivere. È una grande maschera della nostra comicità, un grande scrittore, un personaggio e un grande amico».
La cavalcata attraverso la lunga carriera dell’artista ligure corse poi da Fracchia alla mitica citazione sulla Corazzata Potemkin, dell’aggressivo e sadico Professor Kranz al cinema con Monicelli, Wertmüller, Olmi e Salvatores che gli valsero dal David di Donatello al Leone d’Oro alla carriera. E ancora da ricordi lacustri legati a “I promessi sposi” che interpretò nei panni di don Abbondio al vecchio amico Renato Pozzetto, fino a Fellini «fu un’occasione straordinaria fare un film con lui. Non è confrontabile con nessuno al mondo si è inventato realtà magica». Non mancarono i ricordi delle esperienze teatrali anche con la regia di Strehler e la scrittura che lo vide autore di poco meno di una dozzina di libri.
«Era meno noto come scrittore, ma è proprio sulla carta che ha creato la maschera del mitico Fantozzi che gli sopravvivrà per sempre – spiega Bambi Lazzati, direttrice artistica del Premio Chiara –. Era molto contento del riconoscimento ed ha apprezzato il video che gli dedicammo. Il suo era l’animo di un protagonista che prende la scena».
«Ha esordito come scrittore nel 1971 – aggiunge Romano Oldrini, presidente dell’associazioni amici di Piero Chiara – Se c’è qualcuno che, in modo seppur caricato e grottesco, ha evidenziato le caratteristiche dell’uomo medio italiano come fece Chiara nei suoi libri, è proprio Villaggio. Ritenevamo ci fosse una sintonia tra i due: in Chiara con ironia più sottile e tipica dello scrittore di peso, in Villaggio in maniera carnascialesca ed efficace».
Fu lo stesso comico genovese a spiegare all’epoca sul palco di Luino il successo del suo eroe tragicomico «esorcizza le sconfitte dell’uomo medio italiano». E lo faceva con la sua auto Bianchina, i congiuntivi sbagliati, la vita routinaria dei colletti bianchi, le vessazioni dei colleghi, il corteggiamento alla signorina Silvani. Non era mancata una stoccata cinica: «I Fantozzi di oggi si mascherano e fingono di essere felici, ma non lo sono». «Fu un incontro memorabile. Sapevo che mi avrebbe dato filo da torcere da uomo sagace, provocatore, ironico e di cultura qual era» ricorda l’attrice varesina Claudia Donadoni, che presentò l’evento. «Nei primi 5 minuti cercò di massacrarmi in tutti i modi. Mi chiese se ero fidanzata, se lui era in sala e lo fece alzare in mezzo al pubblico».
Rotto il ghiaccio «fu corretto e signorile e cominciammo a chiacchierare. Ne è emersa una grandissima sensibilità veicolata da battute e poche parole serie, ma dette a modo, di quelle che colpiscono dentro. È stata una grande occasione per me, perché quando s’incontrano persone di questo tipo gli scambi intellettivi e intellettuali sono molto alti. Già nei film, negli scritti e nelle pièce teatrali si percepiva che dietro la comicità si celava un substrato culturale tutt’altro che banale, ma intellettualmente consistente». Pensando alla sua figura «lo associo agli artisti russi del circo, ne incarna l’anima comica e leggera, struggente con un velo di malinconia».