Aiutare gli altri? I varesini dicono sì

Una ricerca tra motivazione e conciliazione ha analizzato le ragione della solidarietà nella crisi

Fare volontariato in tempi di crisi? C’è ancora chi risponde sì, ma a cambiare sono le motivazioni.
Fare volontariato oggi è una scelta legata più ai valori e all’accrescimento personale di quanto non lo fosse prima del 2008, quando il desiderio di aiutare gli altri scattava più spesso per una sorta di “senso di colpa” che spingeva ad aiutare chi era messo peggio.
«In altre parole la crisi ha avuto l’effetto di peggiore la situazione per tutti e, di conseguenza, è meno frequente nei volontari il senso di colpa per aver ricevuto di più che spingeva molti a voler restituire attraverso l’impegno per gli altri».

Così spiegadel laboratorio di psicologia sociale applicata dell’Università Cattolica di Milano.
La docente è autrice, insieme a , di una ricerca che ha puntato l’attenzione sul volontariato in tempo di crisi e sul tema della conciliazione famiglia, lavoro e volontariato.
Perché quando si sta peggio, il rischio è quello di ripiegarsi su se stessi e sui propri bisogni e non riuscire a trovare tempo per gli altri. A voler puntare l’attenzione sull’argomento

è stata l’Avis Sovracomunale Medio Varesotto, punto di riferimento per quasi ottomila donatori appartenenti a 22 Avis Comunali del territorio.
«In tempi di crisi – sottolinea il presidente di Avis Sovracomunale, – è interessante vedere perché le persone scelgano comunque di fare volontariato, pur essendo maggiormente impegnate a badare a se stesse e alle proprie difficoltà».
Proprio per questo la ricerca, che ha interessato oltre ai volontari dell’Avis del Varesotto, anche i donatori di Cremona città e della provincia di Asti, ha puntato l’attenzione sulla conciliazione.

«È evidente – spiega la professoressa Marta – che in tempi di crisi molti si trovino a dover mettere insieme più di un lavoro per arrotondare e questo impone maggiori sforzi in termini di conciliazione».
I dati parlano chiaro. I donatori Avis sono persone che nella maggior parte dei casi non si limitano a donare il loro sangue, ma sono spesso impegnati attivamente anche in altre realtà associative.
Il 60% del campione infatti, ammette di essere parte (39,3%) o di aver fatto parte (20,7%) di una associazione. La preferenza va alle associazioni di tipo sportivo e ricreativo, ma anche a quelle di volontariato puro. Gli avisini tuttavia, nonostante questo impegno, se la cavano bene nel conciliare tutte e tre le sfere prese in esame (lavoro, famiglia e volontariato): dalle loro risposte non emergono difficoltà su nessun fronte e l’indice statistico dice, in buona sostanza, che tutto va bene.
E sul punto la situazione è anche omogenea rispetto alle altre due aree territoriali (Cremona e Asti) prese in considerazione. Ma se si guardano i dati “disaggregati” qualcosa di più emerge.
«Sono le donne ad avere una maggiore capacità di conciliazione – dice ancora la docente che ha curato lo studio – mentre i giovani studenti sono quelli che hanno maggiore difficoltà nella gestione dei tempi rispetto a chi invece lavora».

Molto interessante, anche se di difficile interpretazione, è il dato che riguarda il livello di soddisfazione personale. Chi è più bravo a conciliare è anche più soddisfatto, ma è difficile capire quale dei due fattori influenzi l’altro.
Quale ritratto emerge in generale dei nostri volontari? «Emerge la figura di un donatore consapevole del fatto – conclude la Marta – che la donazione dà un senso alla propria vita e fornisce la possibilità di incrementare le relazioni sociali».