Al Varese servono quelle dimissioni

Quando (e spero se…) diventerò vecchio, un giorno racconterò ai miei nipoti (perché mio figlio la conosce già benissimo) la favola di una squadra di calcio. Con un presidente, un direttore sportivo, un allenatore e tanta altra gente per bene, in campo e fuori.

Una squadra capace di partire dai Dilettanti, arrivare in serie B e sfiorare la serie A. Con due caratteristiche peculiari: competenza e varesinità. Un gioiello. Smontato poi pezzo per pezzo. A partire proprio dalla competenza, dietro la scrivania ed in campo.

Non a caso i giocatori che se ne sono andati non sono stati sostituiti adeguatamente.

Non a caso (dopo Sannino) l’allenatore che ha chiuso la stagione non era quello che l’aveva iniziata (Carbone, Castori, Sottili). E poi la varesinità. Non è necessario essere varesini per capire di calcio o di sport. La varesinità è qualcosa che hai dentro a pre

scindere da dove sei nato. Pozzecco e Galanda non erano varesini, ma col Cecco e l’Andrea hanno rappresentato alla perfezione la varesinità. Come prima di loro Bob Morse e il Dino che hanno fatto capire a tutto il mondo cosa fosse la varesinità assieme agli Ossola, ai Bisson, ai Rusconi. O come Sogliano padre e figlio. O come Sannino e il povero Peo Maroso che si sarà girato dall’altra parte lassù in Paradiso per non guardare ciò che succede quaggiù nella sua Masnago.

La varesinità del Varese (tra carta d’identità e stato d’animo) è stata progressivamente azzerata. I nomi non facciamoli, tanto li conosciamo, li conoscete tutti. Sono quelli che ora temono per il futuro sportivo del Varese e, soprattutto, per il loro posto di lavoro. Gente per bene, competente e varesina. Nella testa e nel cuore, prima che sulla carta d’identità. Tutta gente che ha chiesto a Laurenza, quasi supplicandolo, di mettersi nella mani di Riccardo e Luca Sogliano. Già dalla scorsa estate.

Ah Nicola, che errore hai commesso a non ascoltarli affidando la gestione totale della tua società a Montemurro. Ci hai messo buona fede, faccia e soldi veri in cambio di cosa? Quattro allenatori, due direttori sportivi, trenta giocatori, un bilancio complicato, un gruppo di esperti (o presunti tali) che ha ridotto al minimo i rapporti con la gente per bene, la città, le istituzioni e le persone che contano. In cambio di cosa? Di una serie C che si profila sempre più minacciosa all’orizzonte. Quella serie C che distava 12 punti il giorno dell’esonero di Milanese. L’inizio della fine. Un licenziamento voluto da Montemurro che addebitava a Mauro la scelta di Gautieri. L’ultima decisione sbagliata di una serie troppo lunga per essere elencata qui ora.

E ora che accadrà? Non è mai troppo tardi per riprendersi competenza e varesinità (Ambrosetti, Belluzzo e Bettinelli sono già un bel segnale). Non è mai troppo tardi per la salvezza diretta. Non è mai troppo tardi per la salvezza al play out. Non è mai troppo tardi per un seppur tardivo segnale di umiltà. Non è mai troppo tardi per affidarsi a chi (come Ricky e Luca) ha davvero Varese nel cuore. Non è mai troppo tardi per recuperare il rapporto con città, istituzioni e persone che contano. Non è mai troppo tardi per quelle dimissioni del responsabile principale di questa situazione. Non è mai troppo tardi per credere alle favole da raccontare ai nipoti. Non è mai troppo tardi per dare ragione alla “stampa sgradita” ed agli “schiavi di Sogliano”.

Roberto Prini*

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