Alle origini di Castori, un grande “E’ partito vendendo scarpe”

VARESE Dimmi donde vieni, capirò chi sei. Vale anche per Fabrizio Castori. Ecco un viaggio alle radici del tecnico biancorosso, per scoprire il perché dei suoi come: la guida è Gigi Mancini, firma del Resto del Carlino, esperto di cose calcistiche ascolane, pozzo d’aneddoti degno d’una biografia.

Lotta e campanili
Le Marche, terra di natura, di storia e di cultura: schegge preziose di Medioevo incastonate tra i saliscendi. Terra di dialetti stretti e orizzonti ampi, di costa prima dolce e poi aspra, di passioni forti e contrastanti. Terra, anche, di gente sempre in lotta per non perdersi.

«Castori è partito dal basso – dice Mancini – Non è nato allenatore e tantomeno calciatore: prima ha fatto il ragioniere e il rappresentante di scarpe. Ha cominciato in Seconda categoria, per hobby, e si è dimostrato subito bravo. Ha allenato in vari paesi dell’interno: la Grottese di Grottazzolina, il Cerreto, la Monturanese di Monte Urano. È esploso a Tolentino, la città dov’è cresciuto, lui originario di San Severino Marche, centro adagiato sui colli che guardano l’Appennino».

L’itinerario non è casuale: «Noi marchigiani siamo esasperatamente campanilisti, anche tra rioni della stessa città. Però abbiamo una strana tendenza a… selezionare i nemici guardando la cartina fisica più di quella politica. La rivalità vera è orizzontale, tra entroterra e riviera: Ascoli Piceno contro San Benedetto del Tronto, Macerata contro Civitanova Marche. Viceversa, c’è contiguità tra i centri di collina e tra i centri di mare: Castori ha lavorato in posti che gli erano affini, ha saputo capirli e toccare le corde giuste. Ecco perché lui, di origine maceratese, si è trovato bene nell’Ascolano. Non so se a San Benedetto si sarebbe ambientato così».

Icona bianconera
Già, Ascoli, la terra sognata e promessa. Idolatrato dalla gente, anche se ci ha allenato un solo anno esatto: subentrato a novembre 2010, esonerato a novembre 2011. «Si guadagnò la simpatia dei tifosi il primo giorno. La squadra era ultimissima, sballottata tra penalizzazione e contestazione. Lui fece allenamento a porte aperte e tenne i giocatori in campo dal primo pomeriggio fin dopo il tramonto. Stabilì con tutti un feeling istantaneo e ottenne subito risultati sorprendenti: bloccò Novara e Varese, vinse a Sassuolo, Pescara e Padova. Alla fine si salvò miracolosamente».

Per lui, un punto d’orgoglio: «Del Picchio è tifoso fin da bambino: a scuola scrisse un tema su Renato Campanini, bomber della scalata dalla C alla A nei primi anni ’70. Castori prese casa in corso Mazzini, pieno centro, e conquistò la piazza con la schiettezza verace che ormai conoscete anche a Varese. I tifosi lo adorano, ogni volta che torna da avversario l’accoglienza è commovente».

Spunta l’aneddoto: «Il carnevale è lo storico appuntamento clou della città: coinvolge migliaia di persone, tutti si travestono. L’anno scorso c’era un sacco di gente vestita da Castori. Lo parodiarono con sei punti di sutura in testa, tanti quanti la penalità, accanto a Tonino Carino, con microfono, cuffia e riporto, e Costantino Rozzi, con sciarpa e calzettoni rossi».

Urla e carezze
Cos’ha preso, il nostro, da queste leggende del calcio bianconero? «Di Carino ha la timidezza: è anche attraverso le sue cronache che Fabrizio ha amato l’Ascoli. Di Rozzi ha la passione genuina e sconfinata per questi colori. E poi è il successore che più somiglia al patriarca Mazzone, un’istituzione di unità nazionale. Come lui ha cuore e istinto da calcio d’altri tempi, senza procuratori, maneggioni, venditori di partite».

Il secondo anno al Del Duca non andò altrettanto bene: «Un’altra penalizzazione complicò le cose, il gruppo era diverso. Fu esonerato un minuto dopo la sconfitta di Bergamo con l’Albinoleffe: in sala stampa era atterrito. Soffriva perché, forse per la prima e unica volta, non era riuscito a dare il meglio di sé nelle difficoltà. Arrivò Silva, monumento dal carattere diametralmente opposto, e fece bene: Castori fu felice della salvezza, e non azzardò mai mezza polemica. Perché sa essere duro ma anche dolce: ti grida “assassino”, tipica espressione maceratese, e un momento dopo ti dà una silenziosa carezza paterna».

Stefano Affolti

a.confalonieri

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