Attilio Caja, senza nuovi inserimenti, lasciando intatta la squadra come l’ha ricevuta, compie il suo ennesimo miracolo con la Virtus, fatto di basket essenziale, difesa e fiducia». Valerio Bianchini, un altro che nella Città Eterna ha predicato pallacanestro, non poteva non farsi sfuggire l’elogio. Roma: autoretrocessione estiva, quattro sconfitte consecutive, mostro sbattuto in prima pagina con la vicenda Saibene. Dramma? No, è arrivato Attilio Caja. Come sempre, alla Giulio Cesare: veni, vidi, vici.
Mi fa molto piacere.
Sono contento soprattutto perché, in poco tempo, siamo andati oltre le più rosee aspettative. Sotto la mia gestione abbiamo vinto tre partite su cinque, ma anche le due perse non sono state negative: con Casalpusterlengo siamo stati sconfitti al supplementare e Callahan ha fatto 0/2 ai liberi nell’ultimo minuto; con Agropoli abbiamo ceduto all’ultimo tiro. Insomma, c’è da essere soddisfatti: stiamo facendo un bel lavoro.
C’era grande depressione, un sentimento che trovava origine in cose remote. I tifosi e la stampa non avevano ancora metabolizzato l’autoretrocessione: è stata una scelta fatta controvoglia, contro un diritto acquisito che è venuto meno. In un contesto del genere era normale che serpeggiasse un po’ di delusione. Mista a frustrazione anche, perché se riparti dalla A2 e poi perdi tutte le partite non può che essere così.
No, quello no, perché la questione è stata riportata nelle giuste dimensioni: l’episodio ha avuto eccessiva enfasi. I problemi a Roma erano altri…
Che corde ha dovuto toccare in questa ennesima ripartenza?
Una squadra presa in corsa è come un ammalato: la prima terapia deve essere di sostegno immediato. Nel caso specifico, mettere mano alla demoralizzazione e alla frustrazione per tutti i match persi. Poi, però, della malattia si devono trovare le cause, altrimenti ritorna: se ci sono problemi tecnici vanno risolti. Per farlo conosco solo un modo: lavorare in palestra. E ottimizzare le risorse: non si può buttare via tutto e chiedere di andare sul mercato.
È come nella vita di tutti i giorni: prima di buttare via il cappello, bisogna cercare di ripararlo. Nel basket vuol dire armarsi di santa pazienza e lavorare.
Vero: sono sceso in A2 solo per lei. Tanti mi hanno consigliato di stare fermo, di aspettare qualche squadra di serie A, in particolare dopo le buone esperienze di Cremona e Varese. Fare il secondo campionato nella capitale, però, è una cosa sui generis: Roma è ormai la mia città, qui ho tanti amici. E ho fatto una scelta di cuore che va ben al di là degli aspetti economici e professionali: ho voluto restituire qualcosa a una società che mi ha dato tanto, che mi ha lanciato vent’anni fa nel professionismo. Chiamatelo romanticismo: per me è cuore.
Chi non ti ama non ti merita, mi verrebbe da dire. Mi va bene così: ognuno la veda come vuole. Mi fa sorridere, però, che anche un bambino capisca come sia più difficile fare una minestra con la spesa che hanno fatto gli altri, piuttosto che con la tua. D’altra parte sono contento che ci sia gente che mi stima, qui a Roma come a Varese. E ringrazio comunque chi, lo scorso anno, si è fidato di me in un momento di difficoltà. Non sono rimasto, ma persone come Alberto Castelli, Monica Salvestrin, Renzo Cimberio e Rosario Rasizza sono state e sono conoscenze positive che non si possono cancellare: la stima nei loro confronti è rimasta immutata.
È stata bravissima a prendere Ukic, un lusso per la media italiana. Ha militato in Eurolega e sposta gli equilibri: ha leadership, fisicità, aggiunge alla regia la capacità di mettersi in proprio. Il suo impatto è stato un po’ come quello di Maynor lo scorso anno, solo che Eric ha avuto bisogno di un periodo di adattamento al basket europeo, mentre a Ukic non è stato necessario insegnare nulla. Un giudizio complessivo sulla squadra è ancora prematuro: si deve arrivare almeno a 10-15 partite.
Sono diviso tra la stima che provo per Pianigiani e il sentimento verso Ettore. Simone ha fatto bene: all’Europeo è arrivato a un tiro dalla semifinale e il suo gruppo ha messo in mostra compattezza e solidità. Difficile trovare un margine ulteriore di crescita, ma se c’è uno che può riuscirci è di certo Messina. Parliamo di un uomo di intelligenza superiore, di un allenatore che è stato bravo a riconoscere il lavoro del suo predecessore e a ripartire dal suo staff. Pianigiani e Messina sono due grandi professionisti: per il bene della nostra pallacanestro non ci poteva essere staffetta migliore.