Alzheimer, perché aggredisce in modo diverso uomini e donne: lo studio dell’Insubria

Uno studio, coordinato dalla Statale di Milano in collaborazione con l’Università dell’Insubria, di Milano-Bicocca e di Tor Vergata ha evidenziato che l’Alzheimer modifica l’interazione tra le proteine e la fisiologia delle cellule in modo differente tra uomini e donne. La pubblicazione su Cell Reports.

In occasione della Giornata mondiale sull’Alzheimer, che ricorre oggi, 21 settembre, è stato pubblicato uno studio che ha evidenziato che l’Alzheimer modifica l’interazione tra le proteine e la fisiologia delle cellule in modo differente tra uomini e donne.

L’articolo, pubblicato sulla rivista scientifica Cell Reports, è frutto di una ricerca condotta dal professor Loredano Pollegioni, responsabile del laboratorio The Protein Factory 2.0 dell’Università dell’Insubria e supervisore del lavoro, da Gabriella Tedeschi dell’Università degli Studi di Milano, Paola Coccetti dell’Università di Milano-Bicocca e Nadia Canu (recentemente scomparsa) dell’Università di Roma Tor Vergata.

Il lavoro ha analizzato campioni post mortem di ipotalamo da cervelli di uomini e donne con un invecchiamento normale e da pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer.  

Le analisi hanno evidenziato profonde differenze in termini di vie metaboliche alterate tra i controlli sani e le coorti maschili e femminili dei pazienti. In particolare, una diminuzione della risposta insulinica è evidente nella sindrome di Alzheimer confrontando le donne con i maschi. Inoltre, il metabolismo dell’aminoacido serina (che genera un importante neuromodulatore, la D-serina) è significativamente modulato: negli uomini, durante un normale invecchiamento, il rapporto D-Ser/serina totale rappresenta una strategia per contrastare il declino cognitivo legato all’età, mentre nelle donne tale valore è modificato solo durante l’insorgenza della malattia di Alzheimer.  Ciò è di particolare interesse in quanto la D-serina modula la neurotrasmissione dovuta ai recettori NMDA e poiché il suo livello nel sangue è stato recentemente proposto come biomarcatore precoce di tale patologia.

“Questi risultati”, spiega Elisa Maffioli, ricercatrice di Biochimica della Statale di Milano e prima autrice del paper, “mostrano come la malattia di Alzheimer cambia e, per certi aspetti, inverte alcuni aspetti della mappa proteomica e dei profili metabolomici nei due sessi, evidenziando così come diversi meccanismi fisiopatologici siano attivi o meno in base al sesso e aprendo alla possibilità di intervenire con innovativi approcci terapeutici differenziati tra uomini e donne”, conclude Maffioli.