Andrea Pusateri è tornato tra noi con tutta la foga che può avere un ragazzo di poco più di vent’anni reduce da una settimana in letargo trascorsa nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale di Circolo. Sorridente come sempre, scortato dalla fidanzata Marianna e dalla sorella Sara impegnate a tenerlo a freno perché i segni della sua brutta caduta sono ancora evidenti e tutt’altro che da sottovalutare.
«Quanto mi è capitato è una bella cosa – attacca Andrea tra lo stupore dei suoi angeli custodi – Si perché ho potuto vedere quanta gente si è interessata a me e mi vuole bene. Non me lo aspettavo». Forse bastava chiederlo senza sbattere il muso e fare un giro sull’elicottero del 118 fino a Varese.
Qualche secondo per una grassa risata e Andrea riprende.
«Fabrizio Macchi ha chiamato subito mio nonno Luigi e poi anche me quando mi sono risvegliato.
Ho letto il messaggio di Ivan Basso che ha pensato a me anche se sta correndo la Tirreno-Adriatico. E poi Carlo Ricci e i miei ex compagni del Team Mtb Bee And Bike Bregnano, i miei compagni e il commissario tecnico della nazionale paralimpica Mario Valentini, i miei compagni di squadra del Team Fly Cycling di Verano Brianza, i miei amici. Un sacco di gente che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza spingendomi a superare questo momento. Ma visto che mi dai la possibilità di farlo pubblicamente voglio ringraziare ogni singola persona che si è occupata di me dal primo soccorritore sull’ambulanza al pilota dell’elicottero del 118, dalla dottoressa che ha riposto “sì” alla richiesta di un letto per me qui a Varese ad ogni infermiere del reparto intensivo prima ed ematologia adesso. Persone splendide che hanno sopportato i miei sbalzi di condizione e di umore. Al telegiornale e su giornali si sente e si legge spesso di sanità in termini negativi. Qui ho trovato solo persone splendide alle quali sarò grato per sempre». Raccontami le prime sensazioni al risveglio. «’Na roba strana – e giù un’altra risata – pensa che ero certo di aver telefonato alla mia ragazza dall’ambulanza. Ovviamente non è così. E poi una serie infinita di sensazioni e pensieri per lo più immaginari. Mi dicono che con quello che ho passato è normale. Adesso devo solo smaltire tutto quello mi hanno messo in circolo per tenermi tranquillo. Mi sa che se corressi una gara domani mi squalificherebbero per vent’anni!» E giù a ridere.
Dalla tua prima volta al velodromo di Varese ne hai fatta di strada. Dal Team Bee and Bike al Fly Cycling vestendo la maglia azzurra. «La bici è la mia passione. Carlo Ricci è stato il primo a darmi una mano e poi a vario titolo tanti altri. La caduta è una componente del ciclismo e quindi va presa per quella che è: un incidente. Di quella mattina e della caduta non ricordo assolutamente niente. A dire il vero non ricordo neanche di essere uscito in bici. È capitato, ora sto bene, voglio uscire al più presto per riprendere le forze e ricominciare».
Hai ringraziato il mondo ma forse ci sono persone che meritano qualcosa in più. «Certo che sì. Mia sorella Sara, i miei nonni Luigi e Maria, la mia ragazza Marianna, e tutti i miei cari che devono aver passato momenti brutti e in più la scomodità di doversi spostare tutti giorni da Monza, dove abitiamo, qui a Varese».
Tanti varesini si augurano di rivederti presto in forma come ti hanno conosciuto sul palco del Vela. «A Varese e ai varesini voglio mandare un grandissimo grazie per tutto l’affetto che mi hanno dimostrato in questa “diversamente settimana”. Ora facciamo una bella foto qui in ospedale ma presto voglio venire a trovarvi nella Redazione de La Provincia. Vengo in bici, con una divisa nuova perché mi dicono che quella che indossavo al momento del botto è ridotta a brandelli. Grazie Varese! Arrivederci a presto».