Anziana e sola Una storia come tante

«Sono sempre stata povera. Non ho mai conosciuto cosa fosse l’agio, la ricchezza, il permettersi uno sfizio. Ero piccola, ma imparai in fretta a capire che nella società gli esseri umani sono divisi in tre categorie. Ci sono i ricchi che difficilmente si voltano indietro per raccogliere o dare una mano a chi non ce la fa, poi quelli che in qualche modo riescono a rimanere in piedi in maniera più o meno decorosa e infine quelli come me. Anziani, soli e poveri in canna, perché nella vita hanno sbagliato tutto, fin dall’inizio».

Lidia ha settantaquattro anni e vive a Busto Arsizio, per la precisione nel quartiere di Borsano, un pezzetto di mondo piuttosto staccato dal cuore pulsante della città, o almeno da quello che è rimasto.

La protagonista di questa storia è piccola di statura e molto magra, ha capelli bianchi e occhi grandi color nocciola, basta un solo sguardo per capire che da giovane doveva essere bellissima. Ora vive sola in un piccolo appartamento dell’Aler, a poche centinaia di metri dal conosciuto quartiere “Giuliani e Dalmati”, quando si affaccia alla finestra vede il verde dei campi appena rivoltati da un trattore e se il cielo è sereno anche le montagne ancora innevate, ma la poesia svanisce in fretta se ogni giorno si devono fare i conti per sopravvivere.

«Ho perso mio marito Antonio quando ero ancora molto giovane, sono arrivata qui con lui tantissimi anni fa, eravamo pieni di speranza ma sembrava che la sfortuna ci perseguitasse. Lui faceva il muratore, cambiava lavoro di mese in mese, io mi sono sempre arrangiata come potevo facendo i mestieri in casa delle famiglie bene della città, sempre in nero, stipendi da fame e forse anche per colpa mia, perché magari avrei potuto farmi valere di più. Ma cosa ne potevo sapere io, di come funzionavano quelle cose? Arrivavo dalla Sicilia, completamente sprovveduta, senza una famiglia alle spalle e solo con un uomo che si è sempre preso cura di me anche quando volevo mollare tutto e andarmene da un’altra parte, perché negli anni sessanta e settanta non era facile lavorare da queste parti e sentirsi integrati. La differenza tra il nord e il sud era marcatissima, eppure in un modo o nell’altro siamo riusciti a rimanere in piedi».

Tutti e due iniziano a lavorare con regolarità, i figli purtroppo non arrivano ma la stabilità economica fa dimenticare anche questo, fino a quando, all’improvviso, una brutta malattia si porta via Antonio. «Era il 1990, è morto lo stesso giorno di Ugo Tognazzi. Un cancro fulminante al pancreas, non c’è stata nessuna possibilità di salvarlo e l’ho visto scivolare verso la morte nel giro di pochi mesi. E allora mi sono ritrovata sola, senza l’amore della mia vita, senza un figlio che potesse darmi una mano e con un’amarissima sorpresa dietro la porta».

Antonio non aveva accumulato gli anni necessari per la pensione vista l’improvvisa morte a cinquant’anni. Lidia quindi non ha diritto alla reversibilità e si trova a dover fronteggiare tutte le spese da sola. Per fortuna il dolore l’ha indurita e non si perde d’animo, tira fuori quell’orgoglio che solo le donne sanno di avere.

«Per prima cosa ho aumentato le ore di lavoro e poi mi sono spostata in questa casa, all’inizio è stato difficilissimo ma sapevo bene di non potere fare altro, mi spostavo da un posto all’altro per pulire, stirare, lavare le scale, prendevo ogni cosa mi si offrisse e in un modo o nell’altro sono riuscita ad arrivare a settantaquattro anni».

Ma il fisico non regge più e le mani non possono svolgere i lavori di un tempo. Per fortuna è arrivata una piccola pensione sociale, anche perché Lidia ha lavorato per molti anni in nero senza che le venissero versati i contributi. «Ogni mese ritiro alla posta 447 euro, avevo da parte un gruzzoletto ma nel giro di qualche anno l’ho dovuto quasi esaurire, ma cosa potevo farci? Per fortuna il comune mi aiuta con i pasti a domicilio, altrimenti non so che fine avrei fatto. Ogni giorno viene una macchina a portarmi pranzo e cena dentro una scatola che poi puntualmente restituisco, vedo gli sguardi dei miei vicini di casa, c’è chi capisce e chi invece chissà cosa dirà dietro le spalle, tutto questo a volte mi fa sentire come quando avevo ventidue anni ed ero appena arrivata in questa città. Una emarginata. So che le cose sono cambiate, ma a volte mi sento addosso ancora quella bruttissima sensazione. La vita di tutti i giorni è difficilissima, vivere con pochi euro alla settimana è denigrante, così come è avvilente fare i conti al supermercato e dover scegliere le marche più scadenti, ingoiare quel cibo che non sa di nulla, perché non si può vivere solo coi servizi sociali».

Il tempo passa e Lidia è sempre più stanca, un solo amaro augurio.

«A me piace la vita nonostante me ne siano capitate di tutti i colori, ci sono volte però in cui spero di raggiungere presto mio marito. E chiuderla qui».

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