Aveva un mese ma adesso non c’è più Torna la paura delle morti in culla

La piccola, che si trovava in città insieme ai genitori sin dalla nascita, è volata via. Secondo episodio in dieci giorni. Il primario: «Cause naturali, ma serve la casistica»

– Muore bimba di appena un mese e torna la paura della morte in culla. È il secondo straziante episodio in dieci giorni che vede il decesso di una neonata. L’incubo è tornato nella notte tra sabato e domenica.
Mamma e papà, originari del Senegal e residenti a Lecco, trovano la loro piccola senza respiro nella culla dove l’avevano lasciata addormentata tranquillamente.
La coppia non perde tempo. Scatta la chiamata ai soccorsi, si tenta il tutto per tutto per rianimare la neonata, poi la folle corsa sino al pronto soccorso dell’ospedale di Circolo di Varese.

La bimba arriva già in arresto cardiaco. Nonostante l’inappellabile responso i medici non si arrendono. Anche in ospedale si tenta il tutto per tutto per rianimare la neonata. Poi la resa a fronte di un cuore che non riparte più.
La madre ha ricevuto la comunicazione dai medici mentre era devastata dal dolore e dalla paura. Un terrore che ha purtroppo trovato conferma. La sua piccola non c’era più. La coppia pare fosse ospite di alcuni familiari proprio perché

alla sanità varesina aveva voluto appoggiarsi per il parto. Volendo il meglio per la piccola.
Come da prassi l’ospedale ha comunicato al l’autorità giudiziaria il decesso. La questura sta ora seguendo la vicenda d’intesa con il magistrato di turno. È bene sottolineare che questa comunicazione alla magistratura è una prassi quando si registra il decesso di un neonato o un bambino in tenerissima età non affetto da patologie particolari. Lo si fa per legge.

La piccola è certamente morta per cause naturali. Non ci sono indagati né la bambina presentava segni di un’aggressione violenta o di maltrattamenti.
L’autopsia, l’incarico sarà affidato nelle prossime ore, chiarirà le cause del decesso perché così vuole la prassi.
Si tratta di morte in culla? «È necessario essere molto cauti – spiega , primario del reparto di Pediatria dell’ospedale di Circolo di Varese – Trent’anni fa si parlava genericamente di morte in culla quando non si riusciva a trovare una causa specifica al decesso. Oggi la medicina ha fatto passi da giganti. Esiste in Lombardia un protocollo specifico da seguire in questi casi. Questo per non generalizzare, per avere informazioni non superficiali e statistiche reali per studiare il fenomeno».
Che è rarissimo. «Parliamo di un decesso per questa sindrome ogni tre anni circa – spiega Nespoli – Per questo è necessario non essere superficiali. Anche nell’ufficialità degli esiti autoptici. Molto spesso dietro una presunta morte in culla può esistere una neoplasia nascosta».
«Non è raro, soprattutto in periodi invernali, che queste morti misteriose possano essere imputabili a fughe di monossido di carbonio. Innocue per un adulto, ma che possono rivelarsi fatali per un neonato. Per questo è necessario indagare approfonditamente. Lavorare anche sui test tossicologici. Il decesso è da imputare a cause naturali, ma indaghiamo davvero».

Il rischio «è quello, come accade in Italia oggi, di non avere una casistica reale sulla quale lavorare in modo serio». La sindrome da morte in culla fa comunque paura.
«È imprevedibile – conclude Nespoli – e non prevedibile. Anche seguendo tutti gli accorgimenti necessari dal non fumare vicino al neonato al farlo dormire a pancia in aria. Purtroppo oggi non si riconoscono sintomi o segnali d’allarme. È a questo serve una casistica seria».